23 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Angelo Bolaffi

IL prossimo gennaio uscirà nelle librerie tedesche l’edizione storico-critica del “Mein Kampf” di Adolf Hitler: cade così in Germania anche l’ultimo tabù. Ma la decisione presa dall’Institut für Zeitgeschichte di Monaco molto difficile e controversa è anche saggia e lungimirante. Il 31 dicembre di quest’anno, infatti, trascorsi settant’anni dalla morte del Führer e novant’anni dalla prima edizione scadranno i diritti d’autore del Manifesto ideologico del III Reich. Nel ‘45 dopo la capitolazione tedesca gli Alleati avevano assegnato per competenza al Land della Baviera, che ne vietò la riedizione, la custodia dei diritti del “Mein Kampf”. E questo per due ragioni: Monaco era stata la città culla del movimento nazista e in essa Hitler aveva scelto di avere la sua residenza e continuò a mantenerla anche dopo essere stato nominato a Berlino Cancelliere del Reich. E poi perché a Monaco nel 1925 per i tipi dell’editore Franz Eher legato al movimento nazista, era apparso con il titolo Una resa dei conti il primo volume dell’opera. Hitler l’aveva scritto durante la sua detenzione nel carcere di Landsberg mentre scontava la condanna (per la verità molto mite) dopo il fallito putsch del Novembre del 1923. A questo primo volume di carattere prevalentemente autobiografico contenente le descrizioni degli anni dell’infanzia e della gioventù nella nativa Braunau, di quelli bohèmien vissuti in miseria a Vienna e delle traumatiche esperienze nella Prima guerra mondiale, fece seguito, tra la fine del 1926 e l’inizio del 1927, sempre per lo stesso editore, il secondo intitolato Il Movimento nazionalsocialista: quello più propriamente programmatico.

Benché Hitler fosse allora uno dei tanti esponenti dell’estrema destra nazionalista che odiava Weimar, la democrazia e gli ebrei nel segno della rinascita della “vera Germania” ed era noto solo come acceso comiziante e pittore fallito, Mein Kampf fu subito un best seller. E questo nonostante le feroci stroncature dei critici: un libro «noioso, confuso, scritto male e fumoso» lo definì Andreas Andernach nel saggio del 1932 intitolato Hitler ohne Maske . E un altro recensore parlò di «un guazzabuglio di frasi costruite male oppure sbagliate dal punto di vista grammaticale che non ha alcun valore intellettuale». Ma i recensori e con loro quasi tutta la classe politica e intellettuale della Germania weimariana si sbagliarono clamorosamente. Commisero un gravissimo errore di sottovalutazione sulla pericolosità del personaggio («la storia di Hitler» secondo il grande studioso Karl Dieter Bracher «è una ben nota storia di sottovalutazione»). E soprattutto non colsero la luciferina determinazione e la radicalità programmatica dello scritto: «nella storia raramente o forse mai un dittatore» così lo storico Eberhard Jäckel «ha con tanta precisione messo per iscritto prima di arrivare al potere quello che poi ha veramente fatto».

Della prima edizione del Mein Kampf vennero tirate e vendute 10mila copie che diventarono più di 200mila alla fine del gennaio del 1933 quando i nazisti andarono al potere. Tra il 1933 e il 1945 del Mein Kampf fu pubblicata una serie infinita di edizioni. Di quella in versione popolare veniva regalata una copia agli sposi all’atto delle nozze. Quella di lusso in pelle bianca e incisioni d’oro era destinata ai Gauleiter e agli altri gerarchi del regime. Quando il III Reich fu sconfitto e per la Germania fu “l’ora zero” del Mein Kampf risultarono venduti oltre 12 milioni di esemplari che avevano fruttato a Hitler 15 milioni di Reichsmark. 8 dei quali vennero scoperti in una banca e poi confiscati dagli Alleati. Ovviamente nonostante il divieto di pubblicazione in vigore in Germania, il Mein Kampf ha continuato negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale a essere reperibile e letto. Nell’area di lingua tedesca era possibile acquistare nelle librerie d’antiquariato una delle copie di cui dopo la fine della guerra ci si era volentieri sbarazzati. Nel mondo circolavano edizioni in molte lingue. In Francia le Novelles Editions Latines sin dal 1934 avevano in catalogo una versione non autorizzata della quale ogni anno sono state e ancora vengono vendute alcune centinaia di copie. In India ne circolano addirittura diverse versioni. L’editore americano Random House si è sin dagli anni Trenta assicurato i diritti per l’edizione inglese devolvendo per la verità in beneficienza i proventi delle vendite. Perfino in Israele circola sia pure in forma molto limitata e a fini di studio una versione ebraica del Mein Kampf. Oggi poi da internet è possibile scaricare il testo tradotto in quasi tutte le lingue del mondo.

E allora qual è il problema? È esattamente quello a cui si intende dar risposta con questa edizione critica del Mein Kampf.

Intanto dimostrare che una solida democrazia consapevole della propria forza non ha e non deve avere paura di un libro, neppure del Mein Kampf, se sa criticamente discuterne. Questa pubblicazione, inoltre, vuole essere un ennesimo contributo alla rielaborazione in Germania di un «passato che non deve e non può passare». La risposta alle sfide del presente nel segno dell’illuminismo e della difesa dei valori liberal-democratici dell’Occidente. Un ulteriore capitolo, dunque, di grande significato simbolico, di quella “resa dei conti” con la propria storia che costituisce il vero segreto della odierna forza “egemonica” della Germania post- tedesca.

Come? Decostruendo criticamente il testo hitleriano ( l’edizione consta di due volumi di 2000 pagine, oltre il doppio dell’originale, corredate da ben 3700 note e commenti) per metterne in luce le falsità ideologiche, le mezze verità, le genealogie razziste di un social darwinismo allora molto in voga e di un niccianesimo pervertito e caricaturale, l’uso demagogicamente strumentale di luoghi comuni come il cosiddetto “spazio vitale”. O l’utilizzo a scopi manipolatori di vere e proprie menzogne. Prima fra tutte quella dei cosiddetti Protocolli di Sion. Ma il senso forse più rilevante di questa che è stata una vera e propria impresa editoriale costata anni di lavoro e di ricerca ad un team di storici non è , si badi bene, solo quello, pur nobile, di un archeologico ristabilimento della verità. Ma di offrire uno strumento utilizzabile anche pedagogicamente e per questo capace di avere conseguenze politiche nel presente. Infatti l’arrivo in Germania di centinaia di migliaia di profughi provenienti dal mondo arabo (ma il discorso vale per tutta l’Europa) da una realtà culturale in cui in nome della cosiddetta lotta contro il “nemico sionista” la propaganda antisemita, compresa anche la lettura di testi nazisti, è componente fondamentale dell’ideologia dominante e, purtroppo, anche della formazione delle giovani generazioni, potrebbe avere un impatto culturale e politico dalle conseguenze imprevedibili. Soprattutto in Germania un paese in cui la coscienza storica della catastrofe della Shoà rappresenta, per usare le parole di Joschka Fischer, il fondamento della costituzione spirituale della nazione.

Questa pubblicazione, non a caso fortemente appoggiata dalla comunità ebraica tedesca preoccupata dalla possibile rinascita di un “senso comune antisemita”, vuole essere, dunque, uno strumento pratico, una fonte di informazioni e di argomenti di cui potranno servirsi coloro che avranno il difficile compito di favorire non solo dal punto di vista materiale ma anche da quello spirituale e culturale l’integrazione nella società tedesca dei nuovi “ospiti” provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo. Inoltre potrà e dovrà funzionare da antidoto anche nei confronti del razzismo neonazista che usando strumentalmente l’argomento della difesa dell’identità tedesca sta cercando, soprattutto in alcune realtà della ex Germania Orientale, di organizzarsi nel segno della xenofobia. Certo, come ha scritto Sven Felix Kellerhoff, un autore che per anni ha studiato il testo hitleriano, quella del Mein Kampf è «una lettura che fa male, mostruosa, molto ma molto perturbante». E tuttavia ha concluso «fare luce » perché questo significa illuminismo «è sempre meglio che tacere o nascondere».

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