19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Paolo Miele

Sta crescendo un movimento di opinione che minimizza l’assedio dei russi e critica il presidente americano che ha deciso di vendere missili anticarro all’Ucraina


Uno degli effetti più nefasti del primo anno di Donald Trump alla Casa Bianca — oltre ai molti, troppi, che siamo costretti a rimarcare pressoché quotidianamente — è stato quello di aver indotto l’Europa tutta ad una sorta di liberalizzazione delle patenti di antiamericanismo. Non c’è più bisogno di esami, è sufficiente una dichiarazione di ostilità all’attuale presidente degli Stati Uniti perché venga automaticamente concessa una licenza generalizzata di vituperio nei confronti di ogni singolo atto della politica americana (e, come ha notato qualche giorno fa su queste pagine Angelo Panebianco, di implicito ossequio a quella russa). La penultima scelta di Washington sottoposta a un non meditato linciaggio è stata quella del riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele: sarebbe stato quantomeno degno di interesse ricostruire come andò nel 1995 quando, presidente Bill Clinton, una legge approvata dal Congresso stabilì che gli Stati Uniti dovessero per l’appunto spostare la propria ambasciata da Tel Aviv alla città delle tre religioni. Certo, successivamente, per ben ventidue anni, la presa d’atto di quel voto era stata sempre rinviata. Ma un rinvio non dovrebbe comportare il venir meno delle ragioni di fondo di una decisione del Congresso. Quali furono queste ragioni? Chi obiettò all’epoca negli Stati Uniti e tra quei Paesi d’Europa che adesso si sono schierati quasi all’unanimità nella condanna all’Onu del passo statunitense? È sicuro il nostro Paese che non sarebbe stato più saggio scegliere l’astensione? Più che la scelta in sé, colpisce la nostra irruenza, il nostro riflesso quasi automatico come troppe volte è accaduto alle Nazioni Unite (in compagnia della quasi totalità dei Paesi più illiberali della terra oltreché, ripetiamo, del resto d’Europa salvo rare eccezioni).
>Ma non sarà, temiamo, un caso isolato. Già si può notare, qui nel nostro continente (e segnatamente in Italia), la crescita di un movimento di opinione teso a minimizzare la gravità delle condizioni in cui ancor oggi si trova l’Ucraina costantemente assediata da russi e filorussi nel Donbass. Movimento d’opinione che, di conseguenza, con un tono di voce sempre più alto, chiede siano tolte le sanzioni al Paese di Vladimir Putin. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno deciso la vendita di armi a Kiev per trecentocinquanta milioni di dollari: si tratta di missili anticarro Javelin che dovrebbero essere utilizzati contro i carri armati, in una funzione ad ogni evidenza difensiva. I russi (nella persona del viceministro degli Esteri moscovita Grigorij Karasin) hanno reagito accusando gli Stati Uniti di voler «armare il partito della guerra» e minacciando un «bagno di sangue». E anche dall’Europa si è levato il consueto borbottio di rimprovero a Trump.

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