EDITORIALE
di Daniele Taino
L’Europa è ancora in grado di stupire in positivo. Alla vigilia delle elezioni di maggio, è curioso che si tenda a non riconoscere che il suo tessuto democratico ha tenuto, nonostante i colpi drammatici portati da cinque anni di Grande Crisi.
È vero che i partiti anti euro e anti Ue guadagneranno consensi: tra il 15 e il 25 per cento di chi voterà potrebbe sostenerli, dicono i sondaggi. Significa però che almeno tre quarti di chi andrà alle urne continua a voler restare nel solco dell’Europa. E anche chi le voteràcontro lo farà spesso su posizioni di protesta ma non necessariamente di chiusura nazionalista. Niente di paragonabile alle depressioni economiche del secolo scorso che portarono al potre i fascismi e gonfiarono il nazionalismo armato. Ciò nonostante, i partiti tradizionali – popolari, socialisti, liberali – non possono pensare che nel Vecchio Continente non sia urgente un momento di verità.
I cittadini europei sanno che uno dei grandi moltiplicatori della crisi scoppiata nel 2008, probabilmente il più rilevante, è stato l’euro, moneta unica costruita su basi politiche poco solide, in modo affrettato, con un’architettura fragile e monca che alla prime vere turbolenze di mercato ha vacillato paurosamente. Se le istituzioni e i partiti che delle scelte di oltre quindici anni fa sono responsabili non chiariranno gli errori fatti, soprattutto la poca trasparenza e la mancanza di coinvolgimento democratico che portarono alla nascita dell’euro, nessuno crederà che quegli errori possano essere corretti.
Senza questa prova di verità, si continuerà a seminare confusione anche sullo stato della Ue e dell’eurozona oggi, più di cinque anni dopo il fatidico 2008. Sarà più difficile rendere evidenti i risultati ottenuti: la fine delle tensioni violente sui mercati finanziari, gli spread che si sono ridotti, l’Irlanda uscita dal programma di aiuti europeo e il Portogallo che ne sarà fuori in maggio, la Grecia tornata a raccogliere capitali dagli investitori privati. Sarà impossibile spiegare l’importanza della costruzione di un’Unione bancaria che solo un anno fa nessuno credeva fosse realizzabile. E non si capirà la portata del fatto che in molti Paesi della cosiddetta periferia – soprattutto in Spagna, Portogallo e Irlanda – siano state introdotte riforme pro mercato e pro business che iniziano a far crescere le economie e a ridurre le disoccupazioni.
C’è ancora molto da fare. Nell’eurozona i senza lavoro sfiorano il 12%, in Italia il 13. Dall’inizio degli anni Duemila, il Pil pro capite nell’area euro è calato. L’Europa sta però cercando di correggere gli errori commessi alla nascita della moneta unica e sta uscendo dalla crisi. Grazie alle garanzie fornite dalla Banca centrale europea ma anche per l’azione di gran parte dei suoi governi. Pure questa verità va detta, invece di sostenere che sono state le politiche di rigore di marca tedesca a provocare impoverimento: stabilità finanziaria e riforme, al contrario, sono state una parte consistente del successo conseguito nel fermare la crisi. Tra l’altro, pensare che Angela Merkel e la Germania abbandonino, costrette dalla crescita elettorale dei partiti nazionalisti, questa strada che ha portato risultati è un’illusione che disorienta ulteriormente i cittadini. Cinque anni dopo, l’Europa c’è ancora: non vanno ingannati gli europei