Come volontà o propensione individuale a mettere al mondo dei figli, l’Italia è poco al di sotto ai livelli del 1991. Ma da allora in Italia si sono perse poco più di 3 milioni di potenziali madri
Buona settimana a tutti. Chiuso in casa per un’indisposizione, in questi giorni non mi è rimasto che curiosare nei freddi dati. La scintilla è stata l’indiscrezione che, in questa legge di Bilancio, alcune centinaia di milioni di euro andrebbero a incoraggiare la natalità. Soldi utili o sprecati? Il bilancio si potrà tracciare solo tra qualche giorno, quando sapremo i dettagli. O tra qualche anno, quando se ne sarà visto l’effetto.
Per ora vorrei guardare alla questione da un punto di vista più trascurato. Di solito si parla delle culle vuote come se fossero un problema psicologico o di portafoglio. Di volontà o di possibilità. Gli economisti, sempre antipatici, parlerebbero di «domanda» insufficiente: si fanno sempre meno figli perché sempre di meno li si desidera o ce li si può permettere.
E se ci fosse un problema di «offerta»? In che misura si fanno sempre meno figli perché, semplicemente, ci sono sempre meno donne e uomini per farli? È importante capirlo, perché se c’è un problema di «offerta», allora le politiche per le nascite dovrebbero cambiare: non basta incentivare con denaro (inevitabilmente, poco) un numero sempre più ristretto di potenziali genitori; bisognerebbe anche far sì che ci siano più potenziali genitori nel Paese. Ma questo implica un approccio diverso per contrastare il declino demografico. Vediamo.
L’andamento delle nascite dall’Unità d’Italia a oggi
Per orientarmi ho recuperato attraverso l’Istat (grazie!) e lo Human Mortality Database due serie di dati: l’andamento delle nascite dall’Unità d’Italia e la sua ragione di fondo, i giacimenti dei potenziali genitori. In altri termini, ho visto quanti bambini nascevano nei diversi momenti della nostra storia in proporzione al numero delle persone feconde. Proprio perché per fare figli non basta volerlo. Bisogna anche che ci siano madri e padri potenzialmente adeguati. Per fotografare quest’ultima dimensione ho dunque tenuto conto del numero di donne in età fra 15 e 44 anni vissute in Italia dal 1861 al 2023. Non è maschilismo: so bene che il declino delle nascite non è semplicemente «colpa» delle donne, perché esiste un problema enorme di fecondità di una popolazione di uomini che invecchia e cambia. E comunque sono nati e nascono bambini di madri non necessariamente comprese fra i 15 e i 44 anni di età. Ma si tratta di minoranze statisticamente poco significative, dunque prendere quelle classi di età femminili mi è parso un modo sintetico per catturare in un unico dato l’«offerta», cioè la capacità di procreare presente nel Paese: una buona fotografia del giacimento di potenziali genitori.
Con queste premesse, ecco dunque un viaggio tascabile attraverso la nostra storia nazionale. Nel 1861-1862, alla proclamazione del Regno d’Italia, la situazione era la seguente:
– 833 mila nati da 5,04 milioni di donne in età fra 15 e 44 anni = 0,16 nati per ogni donna feconda in quell’anno.
Vi dico subito che una tale intensità di nascite non sarebbe mai più stata raggiunta. In seguito, sarebbero nati più bebè che non nel primo anno nella maggior parte dei 163 anni nella nostra storia unitaria; quella del resto era un’Italia da appena 22 milioni di abitanti, di cui quattro su cinque analfabeti, con un’aspettativa di vita alla nascita di trent’anni; quasi un terzo dei bambini che non arrivava al primo compleanno e la statura media registrata dalle reclute dell’esercito del Regno era allora di appena 163 centimetri. Sono livelli di sviluppo inferiori a quelli dei Paesi oggi più poveri del mondo.
Ma mai ciascuna donna feconda in media avrebbe più avuto tanti figli come nel 1861-1862. Il successivo declino della fertilità dei singoli italiani è del tutto normale e positivo: come oggi alcuni Paesi subsahariani o le loro capitali, la crescita economica, la migrazione dalle campagne e il formarsi di una classe media più istruita hanno portato a un progressivo controllo delle nascite. In seguito sono nati più bambini solo perché c’erano molte più donne per farli. Ma, in media, ciascuna di esse ne ha fatti sempre di meno.
– Nel 1901, ci furono 1,057 milioni di nati da 6,95 milioni di donne fertili = 0,15 per donna
– Nel 1911 ci furono 1,093 milioni di nati da 7,61 milioni di donne fertili = 0,15 per donna
Queste sono le generazioni dei nonni di noi baby boomer. Ad ogni passaggio la fertilità individuale lentamente calava, pur restando molto forte. Questa è un’Italia che, malgrado la forte emigrazione verso le Americhe e altrove, va già verso i 35 milioni di abitanti. Il primo vero e proprio sboom della natalità coincise con la Grande Guerra, quando le nascite quasi si dimezzarono fra il 1914 e il 1918.
Quindi arriva il fascismo e qui bisogna smontare un mito. Nel dopoguerra è curiosamente sopravvissuta la leggenda che il ventennio mussoliniano abbia fatto miracoli per la demografia, grazie a politiche per le nascite che tuttora si presumono efficaci. Niente di più falso. Il regime fece disastri anche da quel punto di vista. Nei suoi primi quattordici anni, malgrado un aumento della popolazione femminile in età feconda dell’11%, il numero assoluto delle nuove nascite crolla del 13%. Andò così:
– Nel 1921, ultimo anno pre-Mussolini, ci furono 1,118 milioni di nati da 8,73 milioni di donne feconde = 0,13 per donna
– Nel 1936 ci furono 962 mila nati da 9,70 milioni di donne fertili = 0,099 per donna.
Si registra un crollo della propensione individuale a procreare di circa il 24% in quindici anni. In sostanza negli anni ’30 il fascismo governa sul primo, sistematico calo delle nascite nell’Italia unita sotto al milione di bebè all’anno (al di fuori di calamità come la Grande guerra). Le politiche successive del regime per spingere la natalità hanno origine da questo mezzo disastro, anche se poi ebbero vita breve: per tre anni l’Italia riuscì a superare di nuovo l’asticella del milione di nuovi nati, ma durante la seconda guerra mondiale era già scesa a poco più di 800 mila (un livello che peraltro ora ci farebbe sognare, visto che siamo scesi a nettamente meno di metà rispetto ad allora).
Avanti veloce:
– Nel 1951 si registrano 861 mila nati da 11,01 milioni di donne feconde = 0,078 nati per ciascuna di loro
Come vedete, dopo i primi novant’anni di storia unitaria, il numero di nuovi nati all’anno per donna feconda si era sostanzialmente dimezzato. L’Italia stava diventando un Paese meno arretrato, meno contadino, con un controllo delle nascite che inizia a farsi visibile. Poi succede qualcosa di sorprendente: arriva il baby boom ed esso è sospinto verso l’alto da due motori. Ci sono sempre più donne in età fertile, al punto da superare per la prima volta gli undici milioni nel 1961 (ricordate: erano solo cinque milioni un secolo prima). Ma per la prima volta dall’unità d’Italia in poi aumenta anche la propensione di ciascuna donna, in media, a fare più figli in ogni singolo anno. Si inverte così il trend che durava da cento anni: questo sì che è un vero miracolo italiano.
– Nel 1961 nascono 929,6 mila bebè da 11,07 milioni di donne fertili = 0,083 per ciascuna di loro
La propensione a mettere al mondo per ciascuna donna per la prima volta risale dunque del 6,4% in dieci anni, caso (quasi) unico nella nostra storia. Ed è un fenomeno persistente, che non sparisce dopo una breve stagione di euforia. Ancora dieci anni dopo:
– nel 1971, arrivano 906,1 mila nati da 11,32 milioni di donne fertili = 0,080 per ciascuna di loro
Poi, come sappiamo, tutto cambia. L’Italia diventa un Paese finalmente moderno, industriale, i titoli dei giornali stanno per celebrare il presunto «sorpasso» sulla Gran Bretagna al rango di quinta più grande economia dei Paesi avanzati (ora siamo decimi, per dire). E anche i costumi riproduttivi diventano quelli di una società complessa, percorsa da mille aspirazioni contraddittorie. Il numero di nati all’anno per ciascuna donna in età riproduttiva si dimezza rispetto a quello degli anni del miracolo. Mai cambiamento dei costumi fu così fulmineo.
– Nel 1981 ci sono 623,1 mila nascite da 11,95 milioni di donne feconde = 0,052 per donna
– Nel 1991 ci sono 562,7 mila nati da 12,56 milioni di donne feconde = 0,044 per donna
Siamo praticamente a un quarto dell’intensità riproduttiva per donna feconda del prima anno dell’Italia unita. Se tutto sommato la natalità non crolla ancora di più è però per una ragione che sul momento e in seguito non è stata abbastanza presa sul serio: non avevamo mai potuto contare nella nostra storia su un giacimento così vasto di potenziali genitori. Le baby boomer adesso entrano negli anni giovani della loro vita adulta ed è così che donne in età feconda in Italia all’inizio degli anni ’90 raggiungono i 12,5 milioni. Poi, , gradualmente, questo punto di forza del Paese inizierà ad erodersi. Le ragazze (e i ragazzi) del baby boom poco alla volta escono dall’età più feconda.
– Nel 2001 si registrano 535,2 mila nati da 11,85 milioni di donne fertili = 0,045 per ciascuna di loro.
– Nel 2008, ecco 576,6 mila nati da 11,66 milioni di donne feconde = 0,049 per ciascuna di loro.
L’ultimo picco delle nascite nel 2008
Proprio quel fatidico 2008, che segnò l’ingresso anche dell’Italia nella Grande recessione della crisi finanziaria globale, sarebbe stato l’ultimo picco delle nascite dopo una fase di crescita iniziata all’inizio del secolo. In quel momento dal picco del 1991 l’Italia ha già perso un milione di donne in età di procreazione, eppure le nascite superano quelle di diciassette anni prima. La ragione è una fertilità più intensa: con minori giacimenti di potenziali genitori, gli italiani vivono la seconda mini-ripresa nella loro propensione ad avere figli in media per donna in ciascun anno. Poi inizia la slavina nella quale siamo attualmente.
– Nel 2011 ci sono 546,5 mila nati da 11,12 milioni di donne fertili = 0,049 per ciascuna
La propensione a fare figli resta dell’11% superiore a quella del 1991, benché l’Italia si trovi nel punto più drammatico della Grande recessione. Semplicemente, ci sono sempre meno donne dell’età giusta. Il giacimento inizia a restringersi ed è soprattutto per questo che dà sempre meno frutti, non per mancanza di volontà o risorse individuali. Ma è da lì che parte una specie di manovra a tenaglia negli ultimissimi anni: sempre meno madri potenziali hanno un po’ meno intenzione o possibilità economica di procreare.
– Nel 2019 si hanno 420 mila nati da 9,99 milioni di donne fertili = 0,042 per ciascuna.
Quello è l’anno nel quale il numero di donne in età di procreazione in Italia scende per la prima volta al di sotto dei dieci milioni.
– Nel 2022 si hanno 393,3 mila nati da 9,43 milioni di donne feconde = 0,041 per ciascuna.
– Nel 2023, ecco 379,3 mila nati da 9,38 milioni di donne feconde = 0,040 per ciascuna
I potenziali genitori sono sempre meno
Come volontà o propensione individuale a mettere al mondo dei figli, in media dell’anno scorso, siamo poco sotto ai livelli del 1991. Ma da allora in Italia si sono perse più di tre milioni di potenziali madri, perché adesso sono adulti i figli della precedente recessione demografica degli anni 1980-2003 e non più i figli del baby boom. Una causa molto importante della denatalità – certo non l’unica – è stata nel ridursi delle persone in grado di mettere al mondo dei figli. Dal 1991 il numero delle nascite è sceso del 32%, quello delle potenziali mamme del 25%. A parità di uomini e donne delle età più adeguate, ci sarebbe stato solo un lieve declino e non l’attuale collasso delle nascite. Dunque cosa cambia mettere alcune centinaia di milioni per aumentare la natalità? Qualcosa forse, ma temo pochissimo. Come mettere più benzina in un motore dalla cilindrata sempre più ridotta. Bisognerebbe parlare di come rafforzare il motore, come allargare la base dei potenziali genitori. Significa parlare di immigrazione razionalmente: sospetto non in questa legge di bilancio.