Risorse già assegnate per oltre due miliardi, ma senza progetti ad hoc le scuole rischiano di perdere i soldi: e così alcuni sono tentati dai «pacchetti tutto compreso» offerti dalle aziende private
Il 28 febbraio si avvicina: ma ancora gran parte delle scuole non ha inserito in piattaforma i progetti per utilizzare i fondi destinati dal Pnrr al piano scuola 4.0 dal decreto dello scorso settembre. Non parliamo di briciole, ma di una montagna di soldi: oltre due miliardi di euro, dai 100 mila ai 500 mila euro a istituto scolastico per contrastare la dispersione scolastica (laddove necessario), rendere le aule innovative (1,3 miliardi di euro, il 62% delle risorse) e creare laboratori per le professioni del futuro (425 milioni), le tre azioni indicate come prioritarie nel piano finanziato dalla Comunità europea. A queste risorse si aggiungono altri 289 milioni finalizzati al finanziamento di progetti già in essere. «La denominazione “Scuola 4.0” discende proprio dalla finalità della misura di realizzare ambienti di apprendimento ibridi, che possano fondere le potenzialità educative e didattiche degli spazi fisici concepiti in modo innovativo e degli ambienti digitali», si legge sulla piattaforma Futura destinata a raccogliere i progetti. In sostanza, l’obiettivo è quello di «accompagnare la transizione digitale della scuola italiana». Le risorse di fatto sono state già assegnate, con criteri per lo più demografici, cioè in base al numero di scuole presenti e classi attive. Secondo dati Openpolis, la regione a cui vanno più fondi è la Lombardia, cui complessivamente sono stati assegnati oltre 260 milioni di euro. Dopo la Lombardia la Campania (a cui vanno complessivamente 232 milioni circa) e la Sicilia (189 milioni). A livello di province e città metropolitane, ai primi posti troviamo invece Napoli, Roma e Milano.
Per poterle rendere effettivamente spendibili, queste risorse però vanno «attribuite» a progetti specifici, quei progetti che appunto dovranno essere presentati entro la fine del mese. Ma che hanno mandato in crisi tantissimi dirigenti scolastici: entro giugno avverrà l’aggiudicazione delle forniture e dei servizi, ma se queste tempistiche non dovessero essere rispettate le scuole potrebbero perdere i fondi assegnati. E soprattutto hanno messo le scuole nelle mani degli operatori privati, che fiutando il business hanno pensato bene di inviare ai dirigenti dei piani già pronti, con tanto di dotazioni digitali, per accaparrarsi il finanziamento. Nell’annunciare il piano, il ministero dell’Istruzione ha assicurato di aver messo a disposizione di ogni istituto strumenti di accompagnamento, come il Gruppo di supporto al PNRR, costituito al ministero dell’Istruzione e negli uffici scolastici regionali, oltre che la Task force scuole, gestita in collaborazione con l’Agenzia per la coesione territoriale. Ma la verità è che moltissimi istituti brancolano ancora nel buio. E così finiscono nella «trappola» dei privati.
La lettera- offerta con il pacchetto completo
Ecco un facsimile della lettera che molte aziende stanno inviando: « Salve. Solo per ricordare che per gli avvisi di finanziamento PNRR “Classroom” e “Labs”, XXX supporta gratuitamente i propri clienti, nella predisposizione progettuale e mettono a disposizione tutto il proprio personale altamente specializzato, per il supporto amministrativo. Qualora fosse interessato alla nostra proposta di collaborazione, non esiti nel contattarmi per un appuntamento in presenza e per poter meglio illustrare quanto necessario. Abbiamo già predisposto i template operativi e i progetti di massima da inserire entro il 28/2. Saluti». Una lettera che potrebbe far tirare un sospiro di sollievo a tutti quei dirigenti che non sono ancora riusciti a mettere a punto i progetti: ma la tentazione di affidarsi a queste soluzioni, seppure legittima, mette fortemente a rischio la scuola, che, una volta accettata la proposta, affiderà sostanzialmente le risorse all’azienda, mettendo nelle sue mani la progettazione, senza valutare le necessità del proprio istituto. Una sorta di «cambiale in bianco» all’azienda privata che poi, fornendo il pacchetto completo, si appalterà i fondi senza tenere conto ovviamente delle specifiche esigenze della scuola in questione. E questo rischio aumenta tanto più quanto più parliamo di piccole realtà.
«Non può diventare una lista della spesa»
«Noi abbiamo proposto una serie di webinar per aiutare le scuole a orientarsi- spiega Pasquale Costante, dell’ufficio scolastico regionale della Basilicata- Ma il rischio che le scuole si affidino ad aziende con pacchetti chiusi in mano, c’è. Eppure non è così che bisogna ragionare. Questa non è solo una sfida tecnologica. Non esiste investimento, innovazione, senza progettazione didattica basata su metodiche innovative. Servono competenze didattiche, amministrative». La Basilicata ha presentato finora 5 progetti, ce ne sono 93 in lavorazione su 113, ma anche Costante si rende conto che «qualche difficoltà c’è: è fondamentale uno studio di fattibilità che parta da ciò che c’è, non solo connettività e strumenti, ma risorse umane, didattiche, competenze. Ognuno deve guardare al proprio modello di scuola, deve avere degli obiettivi, porsi domande, e trovare delle risposte. Non può diventare una lista della spesa».
«372 mila euro: ma bastano per una rivoluzione?»
«I fondi ci sono, e abbiamo risorse anche dai fondi precedenti, i PON FERS; ma si tratta di individuare quello che è necessario, perché non è col digitale che si cambia la scuola dal profondo, ma con il rinnovamento delle metodologie didattiche, che vedono l’implementazione del digitale, ma soprattutto un rinnovamento della mentalità dei docenti», spiega Cinzia D’Altorio, dirigente dell’istituto Patini Liberatore di Castel di Sangro. «La difficoltà è fare delle scelte oculate per non spendere questi soldi con tecnologie inutilizzate, pensando a come i docenti in quell’ambiente rinnovato possano esprimere al meglio le loro potenzialità, dove sperimentare e ricercare nuove strade per affezionare i ragazzi allo studi. La criticità non è riempire la piattaforma: metti quel che può servire, ma lo devi calare nella progettazione didattica».
Di quante risorse parliamo, concretamente? «Noi, con 550 studenti, abbiamo avuto 164 mila euro per implementare le competenze per il futuro lavorativo, l’azione Next generation Labs, 91 mila euro per la dispersione, 117 mila euro per le aule. Ma se ogni aula mi costa seimila euro, e ho 15 aule, non posso fare una rivoluzione, andrò a implementare le dotazioni».
«E la formazione?»
«Sembrano tanti soldi ma non lo sono – conferma Luigina D’Amico, preside dell’istituto di istruzione superiore di Sulmona- Il finanziamento per le aule è di 8 mila euro ad aula, io devo innovare 30 aule, e quindi ho 240 mila euro, ma se togliamo il 20% di supporto alla gestione, il 10% di arredo, facendo i conti non riusciamo a dare questa innovazione. E poi la vera difficoltà è capire cosa serve davvero per dare una svolta: sono in una scuola altamente tecnologica, con aule digitalizzate, tablet, ipad, laboratori molto attrezzati di robotica, meccanica, ma c’è ancora tanta formazione da fare. Sto cercando comunque di condividere tutto coi docenti, per cercare quelle soluzioni che ci portino a delle pedagogie innovate».