21 Novembre 2024

La sofferenza del settore cresce e ci consegna a dipendere dall’estero: soprattutto Usa, Medio Oriente e Cina. Un tema che non riguarda solo la competitività, ma mette a rischio anche la transizione verde, denuncia Plastics Europe

La produzione di plastica in Europa continua a diminuire, a ritmi ancora più veloci del previsto. E per la prima volta dal 2018 si registra un netto calo anche per la plastica derivata da riciclo. Non è una tendenza favorevole, al di là di quanto si possa pensare, quella evidenziata dagli ultimi dati raccolti da Plastics Europe e l’associazione di settore non solo lancia l’ennesimo allarme sul fronte della deindustrializzazione nel Vecchio continente, ma mette in guardia anche in relazione agli obiettivi ambientali.
«L’erosione della competitività europea minaccia la transizione della nostra industria», si legge nel commento ai dati. «La trasformazione della Ue in un sistema circolare per la plastica è in grave pericolo a causa delle importazioni che non sempre rispettano gli standard europei», avverte Marco ten Bruggencate, presidente dell’associazione. «La dura verità è che stiamo già assistendo alla chiusura di impianti di produzione nell’Ue, con conseguente delocalizzazione dell’industria, dei posti di lavoro e degli investimenti sostenibili».
Il comparto dà tuttora lavoro in Europa a oltre 1,5 milioni di persone in 51.700 aziende, che l’anno scorso hanno generato circa 365 miliardi di euro di fatturato, ricorda Plastics Europe, ma ci sono segnali di sofferenza sempre più acuti, che ci consegnano ad una crescente dipendenza dall’estero, in particolare da Stati Uniti, Medio Oriente e Cina, dove i costi produttivi sono molto inferiori (nei primi due casi anche per la possibilità di usare idrocarburi “fatti in casa”) e ci sono impianti di grandi, talvolta enormi dimensioni, che consentono forti economie di scala.
A livello globale, secondo Plastics Europe, la produzione di plastica è aumentata del 3,4% l’anno scorso: da 400 a 413 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea invece c’è stato un calo dell’8,3%, da quasi 59 milioni a 54 milioni di tonnellate, di cui 42,9 milioni di plastica vergine, che deriva da combustibili fossili.
Per la prima volta da almeno sei anni – come si accennava – anche la produzione di plastica secondaria ha messo la marcia indietro, con un crollo del 7,8% (a 7,1 milioni di tonnellate) per quella riciclata con sistemi meccanici, che sono tuttora di gran lunga i più diffusi.
La produzione di plastica da riciclo chimico resta minima – appena 120mila tonnellate nel 2023 – e anche le bioplastiche sono ancora marginali, benché in aumento da 700 a 800mila tonnellate.
L’Europa continua a vantare uno dei maggiori tassi di circolarità nel mondo, con il 14,8% della produzione da riciclo, tuttavia «l’incremento dello 0,7% dal 2022 – avverte Plastics Europe – indica una decelerazione ed è inferiore alla crescita richiesta per soddisfare le ambizioni della Plastics Transition roadmap».
Sul fronte della competitività nel frattempo il quadro diventa sempre più cupo. Sul mercato globale della plastica la quota di produzione «made in Ue» si è ridotta al 12% dal 28% nel 2006. E se il saldo commerciale rimane positivo in termini di valore (per 12,7 miliardi di euro), in termini di volumi – si fa notare – siamo diventati importatori netti di resine nel 2022 e di prodotti in plastica finiti fin dal 2021. Nel giro di appena tre anni le esportazioni di resine dalla Ue sono diminuite di oltre un quarto: -25,4% tra il 2020 e il 2023.
L’industria chimica europea – in particolare quella dei polimeri – perde pezzi, oppure finisce in mani straniere: come nel caso di Covestro, big tedesco comprato a ottobre per 14,7 miliardi di euro dall’emiratina Adnoc.
Tra quanti hanno annunciato negli ultimi mesi la chiusura di impianti nel Vecchio continente si sono l’americana ExxonMobil, la saudita Sabic e anche l’italiana Versalis: la società del gruppo Eni fermerà le attività degli impianti cracking a Brindisi e Priolo e del polietilene a Ragusa, scelta inquadrata nel «Piano di trasformazione e rilancio, anche in ottica di decarbonizzazione, del business della chimica», che prevede anche 2 miliardi di investimenti.
Oggi parliamo dell’aria tossica che c’è a Delhi, capitale dell’India, in questi giorni, poi dell’investimento di Tata nella produzione dell’iPhone e del vino italiano, e in particolare il Brunello di Montalcino.
La stessa Eni però

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