L’insediamento del presidente americano: le promesse e i rischi
Un presidente «muscolare» che fin dal primo giorno prende provvedimenti incisivi su immigrazione, razza, sessualità, energia, ambiente, libertà di parola, informazione, eliminazione di tutele per i dipendenti pubblici, comprese alcune misure controverse che potranno essere contestate nelle sedi giudiziarie o davanti al Congresso. Nel suo secondo mandato Donald Trump vuole imporre una svolta radicale all’America in molti campi e nel discorso pronunciato subito dopo il giuramento giustifica in due modi le forzature di norme, prassi e rapporti istituzionali che si accinge a compiere. Una spiegazione ha un sapore mistico, legato agli attentati subiti: «La mia vita è stata salvata da Dio affinché io faccia di nuovo grande l’America». L’altra è politica e ribalta i termini della questione interpretando in modo estensivo il significato del voto del 5 novembre scorso: «Gli elettori mi hanno dato un mandato per capovolgere totalmente l’orribile tradimento subito da tutti noi, restituendo ai cittadini fiducia, benessere, libertà e democrazia». Insomma, non una rivoluzione ma la restaurazione del suo buongoverno.
Trump non usa i colori cupi del suo insediamento di otto anni fa. Non parla, come allora, di American carnage. Ma la condanna del governo di Joe Biden che, mai citato per nome, è una statua di sale alle sue spalle, è dura. Poi, però, anziché tornare a minacciare vendette contro i suoi avversari politici, il presidente preferisce pennellare ottimismo: apre e chiude il discorso annunciando l’inizio di un’«età dell’oro per l’America». E dispensa espressioni assai enfatiche ma apprezzata dal suo popolo: «Da questo momento il declino dell’America è finito».
L’America disegnata da Trump è già in guerra con l’immigrazione: quella clandestina con la dichiarazione dello stato d’emergenza al confine col Messico, quella delle gang criminali che verrà combattuta coi poteri speciali ricavati rispolverando una legge vecchia di oltre duecento anni: l’Alien Enemies Act del 1798. Ma anche quella che vuole essere legale: già ieri mattina è stata disposta la chiusura immediata della app CBP One con la quale ogni giorno sono fin qui entrati legalmente negli Usa 1.450 immigrati al giorno. Il sistema è stato bloccato mentre tutti gli appuntamenti già dati sono stati cancellati.
Nel mirino di Trump anche energia e ambiente: di nuovo fuori dagli accordi di Parigi sul clima, smontato il Green New Deal democratico, cancellate le norme varate da Biden per favorire la diffusione dell’auto elettrica e, soprattutto, la dichiarazione di un’emergenza energetica per aumentare ulteriormente l’estrazione di idrocarburi. Ma l’America sta già producendo petrolio e gas a livelli record, non c’è alcuna crisi. L’emergenza nazionale, una delle forzature che segneranno la presidenza Trump, serve a eliminare le restrizioni che vietano le perforazioni nelle aree protette e in quelle costiere.
Un altro marchio del Trump 2.0 è l’attacco a quelli che i conservatori considerano eccessi della cultura woke: esistono solo due sessi. Le norme amministrative in contrasto con questa nozione vanno eliminate insieme alle misure a protezione dei diritti degli studenti transgender. E poi, proprio mentre l’America festeggia il Martin Luther King Day, la cancellazione delle politiche DEI (sta per diversity, equity, inclusion) fin qui adottate per sostenere le minoranze etniche svantaggiate, soprattutto i neri. Ma l’uso poco efficace o addirittura distorto di queste regole non ha portato ai risultati sperati e ha creato malessere tra molti esclusi. Così oggi Trump ottiene il plauso dei bianchi per «il ritorno della meritocrazia», ma riesce a recuperare, nonostante questa svolta, il voto di una consistente fetta dell’elettorato afroamericano. Evento celebrato sul palco dell’inaugurazione dal pastore nero Lorenzo Sewell che anche nella retorica e nella gestualità prova a presentarsi come un Luther King che sposa i valori della destra.
Ma nella nuova America di Trump ci sono anche tante cose assenti dal suo discorso o solo accennate: la volontà di proiettare forza sul piano internazionale in un modo strettamente legato agli interessi americani («ci riprenderemo il Canale di Panama»), ma anche la determinazione a usare i dazi come arma negoziale. Annuncia che il Fisco interno (Internal Revenue Service) verrà affiancato da un Fisco esterno per far pagare di più i Paesi che esportano verso gli Usa, ma per ora nessun intervento immediato.
Ancora: solo un breve passaggio sulla riforma della macchina dello Stato affidata a Elon Musk, citato soprattutto per la volontà di andare a piantare la bandiera americana su Marte, nulla sul ruolo dei tycoon della tecnologia che stanno entrando in molti centri nevralgici del governo, dal ministero della Difesa a quello della Sanità, né sullo sdoganamento e la diffusione delle criptovalute nelle quali, pure, si sta impegnando in prima persona come presidente e come imprenditore col lancio di una moneta digitale col suo volto che già assicura alla sua famiglia profitti miliardari.
E tra gli ordini esecutivi ce n’è anche uno che dovrebbe consentirgli di licenziare molti funzionari pubblici di carriera per sostituirli con fedelissimi molto al di là delle nomine consentite quando cambia il colore politico del governo. Forzature probabilmente destinate ad essere contestate in sede giudiziaria. Ma per ora, mentre Biden vola al sole della California, gli ex presidenti democratici se ne vanno in silenzio e Hillary Clinton scuote la testa, non si vede chi possa contestare compressioni dei diritti e conflitti d’interesse davanti alla marcia trionfale del «nuovo che avanza».