Flusso continuo di sbarchi: 45 in meno di 24 ore. L’allarme del sindaco Mannino

Altro che «collina della vergogna», come fu chiamata l’altura sul porto nuovo nel 2011, quando più di 4 mila tunisini dovettero appollaiarsi per giorni al freddo, senza un tetto, senza un bagno. Niente rispetto a quanto sta accadendo dodici anni dopo in quest’isola-spugna dove di migranti ieri ne hanno contati 7 mila . Più degli abitanti di Lampedusa, che scoppia e si specchia nell’urlo del sindaco Filippo Mannino: «Siamo allo stremo, aiutateci, servono personale e mezzi».

Non ce la fanno più i disperati che sbarcano ammaccati e feriti su un molo senza spazi. Più di 1.600 in una notte. I bambini in lacrime, tanti minori senza genitori, adolescenti che viaggiano da soli, tante donne con le mani sul pancione. E poi chi sta in fila col cuore a pezzi pensando ad amici e parenti annegati fra le onde dopo la traversata affrontata sui barchini di latta.

Ma non ce la fanno più nemmeno volontari, medici e infermieri del piccolo Poliambulatorio, della Croce Rossa, della Protezione civile, tutti ormai senza turni, svegli ogni notte. Come gli impiegati comunali, i carabinieri, i poliziotti e i finanzieri, sempre con guanti e mascherina, manganello e scudo protettivo. Sperando di imporre così l’ordine, di arginare la pressione di masse che, a ondate, si muovono improvvise perché c’è chi non beve un sorso d’acqua da un giorno, da due giorni. Ogni volta con i militari a fare cordone e spingere un’umanità incrostata di acqua salata e carburante. Alzando i manganelli, senza mai abbassarli, vaga minaccia di «cariche di alleggerimento» come le chiamano in gergo. Non si arriva allo scontro, tutti decisi con il questore Emanuele Ricifari a tenere i nervi saldi.

Ma è difficile quando manca perfino l’acqua, come dice don Carmelo Rizzo, il parroco che spalanca il portone della chiesa e i saloni della «Casa della fraternità»: «Non bastiamo più noi per affrontare il caos». Un amaro richiamo ad «una frontiera europea dimenticata dall’Europa», a ritardi ed assenze che sono già materia di polemica politica, mentre non c’è più un angolo disponibile nella gabbia dell’hotspot di contrada Imbriacola dove l’assalto a quattrocento materassini provoca spintoni e risse. Stesse scene per accaparrarsi il pasto distribuito dalla Croce Rossa o il turno al gabinetto, meta spesso irraggiungibile per gran parte dei nuovi arrivati.

È un flusso di barchini inarrestabile: ben 45 tra martedì notte e ieri sera. Tranne quando scatta la tragedia. Rimbalza da Sfax la notizia di un naufragio con quattro tunisini morti e 21 salvati dalla Guardia costiera. Ma dalla stessa fonte si conferma la partenza ad ogni ora di decine di gruppi. E nessuno sa se tutti approdano in questo scoglio europeo al collasso. Non tutti hanno la fortuna di intercettare sulla rotta una motovedetta che prende a bordo i naufraghi. Com’è accaduto l’altra notte alla barca su cui viaggiava una giovanissima donna partita dalla Guinea e arrivata con il suo bebè di appena 5, ieri letteralmente perduto fra le onde.

Fortunati invece i 13 naufraghi intravisti per caso l’altra sera dal presidente dell’associazione per i diritti degli anziani, Giorgio Lazzara, di ritorno dopo una gita a bordo del suo gommone con moglie e figlia: «Erano tutti in acqua a gridare aiuto, schiantati con un barchino su uno scoglio. Due donne e una bambina le abbiamo recuperate con cime e salvagente. Poi l’allarme e l’arrivo della Guardia costiera…». Così come sono stati fortunati i 4 naufraghi salvati da Francesca Martina, 31enne lampedusana, e dal suo fidanzato: la coppia si è gettata in acqua per soccorrerli. Lieto fine e plauso del sindaco che non ne può più. Deciso a prendersela con l’Europa.

Ma Filippo Mannino, sostenuto dalla Lega, ringrazia il governo per «i 45 milioni destinati a opere infrastrutturali». Al contrario del suo predecessore Totò Martello, un tempo comunista, che accusa il governo Meloni «di abbandonare Lampedusa a sé stessa». Tutti divisi nello scoglio troppo piccolo per replicare ed ampliare la vergogna di dodici anni fa.

A.N.D.E.
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