21 Novembre 2024

Nel passato in Baviera si confrontavano i grandi. Ma i russi non sono stati invitati, nemmeno gli iraniani. La presenza dei cinesi è l’eccezione che conferma la regola: il mondo è sempre più frammentato. E non sappiamo cosa aspettarci nel prossimo anno

C’è stato un tempo in cui ogni anno a Monaco di Baviera, i grandi del mondo si ritrovavano fianco a fianco, stretti nei corridoi di un albergo lussuoso, ma troppo asfittico per essere la sede di un forum globale. Erano incontri ecumenici, quelli della Conferenza sulla Sicurezza. Smessi i panni della saga occidentale degli armamenti — dominata da dissuasione nucleare, carichi di gittata e armi convenzionali — che aveva indossato negli anni della Guerra Fredda, dopo la caduta del Muro quella bavarese era diventata tappa obbligata per tutti, alleati e rivali, l’occasione di un dialogo a volte sereno, più spesso polemico, ma sempre ricco di indicazioni, anche negative. Fu a Monaco, nel 2007, che Putin fece il discorso nel quale delineò ante litteram la svolta imperial-revanscista degli anni a venire. E fu ancora lì che il suo ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, raccontò nel 2015 una delle sue bugie più sfacciate, affermando che l’annessione della Crimea l’anno prima era stata la risposta a «una rivolta per l’autodeterminazione» contro l’Ucraina, nel frattempo impegnata in un’orgia di «violenza nazionalista contro gli ebrei». Non più. In conseguenza della guerra scatenata da Mosca, quella appena conclusasi nella capitale della Baviera ha avuto un’aria di déjà-vu, un appuntamento tra vecchi amici, con la sola eccezione della presenza cinese.
Dimenticate i dirigenti della Russia, non più invitati dal neopresidente del Forum, Christopher Heusgen, già guru di Angela Merkel per la politica estera, con una motivazione forte: «Non volevamo dare ai criminali di guerra del Cremlino un podio per diffondere la loro propaganda». Al posto loro, c’erano i dissidenti, da Michail Khodorkovski, a Garry Kasparov, a Yulia Navalnaya, figlia di Aleksej. E dimenticate anche quelli iraniani, per anni protagonisti corteggiati del Forum e ora banditi dalle sale dorate del Bayerischer Hof, dove ancora nel 2020 l’elegante Mohammad Javad Zarif, allora capo della diplomazia di Teheran, conversava nel suo perfetto inglese con il senatore americano Chris Murphy, provocando le ire di Donald Trump. Qualsiasi prospettiva di riconciliazione tra America e Iran sembra dissolta dal vento della brutale svolta repressiva della Repubblica islamica.
Certo, a Monaco c’era il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che ha incontrato il segretario di Stato americano, Tony Blinken. Ma il loro è stato quasi un numero a parte e in fondo l’eccezione che ha confermato la nuova regola: il mondo là fuori è sempre più frammentato ed è il caso che gli occidentali discutano fra di loro, mostrandosi coesi e determinati di fronte alla terribile sfida posta da Putin.
La discussione, tuttavia, ci ha detto poco sull’anno che verrà: la durata della guerra, quanto tempo ancora l’Occidente rimarrà unito, la tempestività con cui sapremo sostenere lo sforzo di guerra dell’Ucraina evitando che soccomba e se e quale posto la Russia avrà in futuro nello spazio europeo. Siamo entrati in una nuova stagione, ma occorre andare ben oltre la presa d’atto certificata dalla conferenza bavarese.

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