20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Antonio Polito

Per il Pd la riuscita delle primarie è una bella notizia. Ma ciò che è successo nei gazebo domenica può cambiare anche la vicenda politica del Paese? Forse sì


Dopo tanto cercare un «papa straniero», il Pd ha scelto il modello del «papa buono». Anzi, del parroco buono. La faccia paciosa e lo stile ecumenico di Nicola Zingaretti sono stati spesso dileggiati in un partito notoriamente non privo di squali. Ma alla fine il giovane della «cantera», il leader fatto in casa, Nicola il temporeggiatore, ha dimostrato di saper cogliere l’attimo, e non ha mancato il suo personale appuntamento con la storia. Per il Pd e per il centrosinistra la riuscita delle primarie, particolarmente nelle grandi città, è sicuramente una bella notizia: risolleva un mondo in palese crisi depressiva, che ci ha messo un anno a elaborare il lutto elettorale. Ma ciò che è successo nei gazebo domenica può cambiare anche la vicenda politica del Paese? Forse sì. E non solo per l’ovvia considerazione che un’opposizione in salute fa bene all’intero sistema democratico. Karl Popper diceva che l’essenza della democrazia non è decidere «chi deve governare», ma «come impedire che governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno». Perfino Andreotti, quando gli chiesero che cosa avrebbe fatto se avesse potuto disporre di un potere assoluto, senza opposizioni, rispose: «Sicuramente qualche sciocchezza». Ma un Pd che si alza dal lettino dello psicanalista e torna a camminare può avere effetti anche più concreti. Può, per esempio, competere con i Cinque Stelle per il secondo posto alle prossime elezioni europee.
Fino a qualche mese fa, il Movimento sembrava inarrivabile per i Democratici, quasi doppiati alle elezioni. Ma ora i sondaggi dicono che il Pd, anche se è rimasto più o meno dov’era, non è più così distante, perché il ritmo della caduta elettorale dei Cinque Stelle registrato in Abruzzo, in Sardegna, e forse presto in Basilicata, sembra molto accelerato. Per la prima volta, poi, tra i tanti elettori pentastellati in fuga ne compare qualcuno che torna al Pd. Ecco perché, in un partito galvanizzato dalla luna di miele con il nuovo segretario (almeno qualche mese lo lasceranno in pace) si comincia a sperare ciò che prima di domenica sembrava impossibile: il sorpasso alle Europee. Con o anche senza il listone, se un’alleanza con i cespugli di centrosinistra dovesse risultare troppo arzigogolata.
L’eventualità che a maggio i Cinque Stelle non siano più uno dei due pilastri del sistema politico manderebbe ovviamente in crisi l’intera ipotesi strategica su cui si fonda la traballante alleanza di governo. Con conseguenze imprevedibili. Può allontanare la crisi, se il terrore delle urne spingerà Di Maio ad avvinghiarsi a Salvini come un’edera. Oppure la accelererà. Ed è questo lo scenario su cui Zingaretti e anche Gentiloni, che lo affianca, scommettono. Nonostante le sirene che cominciano a cantare (gli auguri di Fico, le mani tese di Di Maio) non è praticabile per il nuovo segretario un ribaltone in caso di crisi. Anche perché i gruppi parlamentari del Pd, così come sono oggi, non gli offrono davvero grande manovrabilità. Ma per arrivare al voto, quando sarà, da leader di un partito competitivo, al neo segretario non basterà dare una riverniciata di sinistra alla ditta. Molto c’è da fare, e non solo dal punto di vista organizzativo. Meglio non dimenticare che, sommati, i due partiti al governo risultano oggi anche più forti di un anno fa, seppure a parti invertite. Meglio ricordare che i punti deboli del Pd, questione sociale, questione migranti, questione sicurezza, restano deboli.
L’ascesa di Salvini testimonia di un massiccio spostamento a destra dell’opinione pubblica. L’Italia è l’unico Paese fondatore dell’Europa in cui un partito di destra nazionalista arriverà primo alle prossime elezioni. L’idea che da qualche parte, nascosto ma pronto a balzar fuori, ci sia invece un popolo di sinistra in sonno e che basti evocarlo per tornare a vincere, sarebbe quanto meno ingenua, visti i tempi. Le prossime elezioni europee saranno innanzitutto italiane: la gente voterà sull’economia e sulla nuova crisi che sta arrivando, non sui principi generali dell’Unione Europea. Per allora Zingaretti dovrà dunque aver preparato una offerta politica nuova, che rimetta il Pd in sintonia non solo con la sinistra, ma con il Paese. E non basterà più riconoscere gli errori del passato — come Zingaretti ha giustamente fatto nelle primarie — per riuscirci. Senza contare che neanche il commissario Montalbano sarebbe oggi in grado di svelare al nuovo segretario la soluzione del giallo di Renzi e del suo futuro; sul quale, come è noto, è consigliabile non stare sereni.

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