23 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Andrea Rossi

Il vicepremier in soccorso della sindaca: “La incontrerò con Toninelli”. L’ira delle imprese torinesi: abbiamo già perso le Olimpiadi, ora basta

Sospendere i lavori della Torino-Lione in attesa dell’analisi sui costi e benefici promessa dal governo e poi valutare se non sia meglio potenziare la linea storica piuttosto che costruirne una nuova. Il documento contro la Tav approvato dal Consiglio comunale di Torino, di per sé, è meno contundente del testo votato due anni fa, in cui si chiedeva direttamente di chiudere il cantiere. Ora, però, il Movimento 5 Stelle guida l’Italia, non solo Torino, e il testo di ieri ha tutto un altro peso. Non a caso incassa subito l’elogio di Luigi Di Maio: «Bene la votazione», scrive il vice-presidente del Consiglio. «Presto io e Danilo Toninelli incontreremo Appendino per continuare a dare attuazione al contratto di governo».
Nell’economia dell’alleanza Lega-Cinquestelle la Valsusa è il baluardo grillino, e forse camera di compensazione per i molti sì finora imposti da Matteo Salvini: immigrazione, legittima difesa, infrastrutture nel lombardo-veneto. È anche – tra tutte quelle promesse – l’unica grande opera che si può fermare ora che anche il gasdotto in Puglia ha avuto via libera. Ecco, il voto del Consiglio comunale è poco più d’una bandierina ma rafforza la direzione di marcia: se il governo deciderà di fermare la Tav sa di poter contare sull’assemblea che rappresenta Torino e i suoi cittadini.
Chiara Appendino probabilmente avrebbe fatto a meno di questo voto che non le frutta la benedizione dei No Tav e, per di più, arricchisce il campo dei suoi avversari, cui da ieri si possono iscrivere a pieno titolo il presidente della Regione Chiamparino, i sindacati e tutte le associazioni di categoria del territorio. Una cosa mai vista. La sindaca non c’è, è partita in mattinata per Dubai dove partecipa al forum globale dell’industria e della finanza islamica. La sua assenza non passa inosservata. Il leader dei No Tav Alberto Perino è tagliente: «Forse non vuole metterci la faccia». Sarcastico il suo predecessore, Piero Fassino, che con tutto il centrosinistra viene espulso dall’aula per proteste: «Non c’è perché ha una gran coda di paglia. Tra l’altro sono curioso di sapere quali investimenti proporrà a Dubai, visto che dice di no a tutto».
In Comune c’è un clima da tregenda. Per la sindaca è il punto di non ritorno: la città – nei suoi portatori di interesse – non è più con lei. Tanti l’avevano già abbandonata strada facendo, ma ora ci sono proprio tutti. «Finora l’abbiamo supportata perché era giusto così», ragiona il presidente della Camera di commercio Vincenzo Ilotte, «ma dopo G7, Olimpiadi e Tav, basta. Non può continuare a dirci che vorrebbe fare ma la sua maggioranza glielo impedisce».
Per la prima volta nella storia del Consiglio comunale di Torino tutte le associazioni produttive – undici – accorrono contro chi amministra la città: sindacati e “padroni”, commercianti e architetti, artigiani e metalmeccanici, persino avvocati, notai e commercialisti. Tutti contro Appendino e stavolta definitivamente se pure il leader degli industriali Dario Gallina, spesso accusato di essere troppo morbido, perde le staffe – «questi ci ricevono tenendo i libri dei No Tav sul tavolo e parlano di droni. Ma chi se ne frega! Questo territorio senza infrastrutture muore» – e arriva a immaginare «una marcia dei 100 mila».
Più della protesta, colpisce il linguaggio: i toni sono diventati ruvidi, è saltato l’aplomb che regge il confronto tra chi reciprocamente si riconosce come interlocutore. L’incontro tra i rappresentanti delle categorie e i consiglieri del Movimento 5 Stelle finisce metaforicamente a schiaffi. «Negli appelli del mondo produttivo ho visto rassegnazione culturale e poco coraggio», accusa la capogruppo grillina Valentina Sganga. «Coraggio? Non so che dire: faccio l’imprenditore da cinquant’anni», commenta amaro Giorgio Marsiaj. I Cinquestelle si arroccano. Non possono fare altro. Sono soli: l’unico assessore ad affrontare con loro la protesta è Alberto Unia, che è anche l’unico attivista del Movimento nella giunta. «Il Tav è un’opera ad alta intensità di capitali, ma genera poco lavoro», insiste Sganga. I sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil che rappresentano i lavoratori edili, per poco non si fiondano in aula: «Abbiamo già perso 9 mila iscritti su 18 mila in dieci anni, volete proprio farci morire?».

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