21 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

renzi

di Ilvo Diamanti

Il clima politico è come sospeso in attesa del risultato del 4 dicembre. L’incognita degli incerti e dei potenziali astenuti: il loro numero è ancora molto elevato. Mentre la stima nei confronti del capo dell’esecutivo rimane stabile, cala sensibilmente quella verso i suoi avversari interni, a cominciare da Bersani e D’Alema

Il clima politico del tempo è acceso. Da un solo fuoco. Il referendum sulla riforma costituzionale, che avrà luogo il prossimo 4 dicembre. Così il mese che ci separa dal voto è percepito – e vissuto – come una lunga attesa. Il sondaggio condotto nei giorni scorsi da Demos per Repubblica riflette, dunque, un sentimento che definirei di sospensione. Da un lato, gli orientamenti politici riproducono le tendenze dell’ultimo periodo. Le stime di voto, come nella rilevazione precedente, delineano un sostanziale equilibrio, fra Pd e M5S. Con un lieve vantaggio del Pd, nel voto proporzionale, e del M5S, nel ballottaggio. In entrambi i casi, la distanza è molto ridotta. Tanto da non permettere previsioni. D’altra parte, però, le intenzioni di voto, in merito al referendum, fanno osservare un ribaltamento rispetto alle precedenti rilevazioni. Il No, per la prima volta, supera il Sì. Di stretta misura, in effetti: 4 punti. Anche perché gli incerti sono ancora molti. E la quota dei potenziali astenuti – nascosti, fra l’altro, nelle mancate risposte – ancora molto elevata. Si tratta di un orientamento osservato da altri già da qualche mese. I nostri sondaggi, invece, rilevano questa svolta solo ora. Anche se giunge a conclusione di un avvicinamento progressivo. Da febbraio, quando il Sì risultava in netto vantaggio, fino ad oggi. Questo percorso è segnato, e quasi determinato, dalle scelte del premier, Matteo Renzi. Che l’ha trasformato in un referendum “personale”. Con l’intenzione, evidente, di ricavarne una legittimazione diretta. Per rimediare al problema, che lo ha sempre angustiato, di apparire – ed essere – un premier “non eletto”. In questo modo, però, Renzi ha prodotto un esito imprevisto e in-intenzionale. Ha, cioè, politicizzato il referendum, trasformandolo in un canale di “mobilitazione” di tutti gli scontenti. Contro di lui.
Il sondaggio dell’Atlante Politico di Demos rende evidente questo processo di personalizzazione del voto. Solo un quarto degli elettori – intervistati – ritiene, infatti, che l’obiettivo del referendum sia di riformare oppure mantenere l’attuale Costituzione. Mentre una maggioranza molto larga – 57% – pensa che si tratti di una consultazione a favore oppure contro Renzi e il suo governo. Ed è probabile, dunque, che, a sua volta, voterà seguendo la stessa logica.
I caratteri che accompagnano il voto, d’altronde, sono piuttosto chiari. Il favore per la riforma è più largo nel Nord (dove, peraltro, prevale il No) e nelle “regioni rosse” del Centro. Mentre l’opposizione cresce soprattutto fra i più giovani. Ma la discriminante delle scelte rispecchia soprattutto le preferenze politiche ed elettorali. Il sostegno alla riforma costituzionale, infatti, raggiunge il livello più elevato fra gli elettori del Pd e, in secondo luogo, della nebulosa centrista (Ncd e dintorni). Il fronte del No, simmetricamente, mobilita gli elettori della Destra Forza-leghista e del M5S. Non per caso lo spartiacque riproduce il giudizio sul governo. Fra chi ne ha fiducia, i favorevoli alla riforma raggiungono il 60% e i contrari si fermano al 13% (il resto è avvolto dalla nebbia dell’incertezza). Mentre fra chi esprime sfiducia verso il governo il peso del No è perfino più ampio: 62%.
Difficile, dunque, pensare che l’esito del referendum non produca conseguenze significative sulla posizione e sulla legittimazione di Renzi. E del suo governo. Non per caso oltre metà degli italiani pensa che, in caso di vittoria del No, il premier si dovrebbe dimettere. Non solo, ma la maggioranza degli elettori ritiene probabile che dopo il referendum il Pd si dividerà. È ciò che pensano, fra l’altro, oltre 4 elettori del Pd su 10. Più che di fratture reali si tratta, in effetti, di conflitti d’opinione. Prodotti e amplificati dalle polemiche accese che attraversano il partito, al suo interno. Dove alcuni autorevoli leader, come Bersani e D’Alema, si sono espressi – e operano – apertamente per il No. Così, si riproduce, con maggiore evidenza, l’immagine di due Pd – sempre più distanti e distinti fra loro. Da un lato il “Pd delle origini”, che riassume tradizioni e organizzazione dei partiti di massa. Dall’altro il Pd-di-Renzi, un partito “personalizzato” e sempre più “personale”. Tuttavia, la “marcia del referendum” pare stia producendo – e abbia prodotto – un esito diverso delle previsioni. Più che accentuare le divisioni interne fra gli elettori, ha, invece, compattato il Pd intorno alle posizioni e alla persona del leader-premier. Circa 3 elettori del Pd su 4 affermano che voteranno Sì alla riforma costituzionale. E 9 su 10 manifestano fiducia nel governo (guidato da Renzi). Intanto, la stima personale nei confronti di Renzi appare stabile, mentre la considera- zione verso gli oppositori interni – del premier e della riforma – cala sensibilmente. Bersani, nell’ultimo mese, perde 3 punti. D’Alema 6. E finisce sotto il 20%. Le divisioni e i conflitti nel Pd, dunque, sembrano coinvolgere e dividere i gruppi dirigenti e i militanti, più che la base elettorale.
La campagna del referendum, invece, pare aver contribuito a rafforzare l’identità “personale” del Pd. A sovrapporre il PdR al Pd. Fino quasi a farli coincidere. Ha, inoltre, radicalizzato il confronto. Fra il No e Renzi. Senza alternative.
Così, è facile prevedere che l’esito del voto, il prossimo 4 dicembre, avrà un impatto rilevante sulla politica italiana. Sul destino del governo e del premier. Sul futuro del Pd e del PdR. Dopo, di certo, nulla – o quasi – sarà come prima.

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