Fonte: Corriere della Sera
di Stefano Montefiori
L’Italia aspetta di fare i conti a marzo ma intanto gli scambi Roma-Pechino non decollano, l’Austria collega con un treno merci Vienna a Chengdul a 10 mila km di distanza e la Francia stipula contratti sei volte più cospicui rispetto a quelli firmati da noi con l’evanescente marchio «Via della Seta»
Nel marzo scorso la visita del presidente Xi Jinping a Roma fu l’occasione di grandi proclami sulla nuova Via della Seta destinata ad avvicinare i mercati di Cina ed Europa. L’Italia fu il primo Paese dell’Unione europea a stipulare un memorandum d’intesa con Pechino, suscitando il nervosismo dell’alleato americano e anche le perplessità dei partner europei, convinti che sulla Via della Seta sarebbe stato meglio negoziare a 28. L’allora vicepremier Luigi Di Maio firmò con la controparte cinese contratti per 2,5 miliardi, poca cosa rispetto alla solennità del momento e alla portata diplomatica e strategica della Via della Seta. Due giorni fa lo stesso Luigi Di Maio diventato nel frattempo ministro degli Esteri era ospite della Fiera internazionale di Shanghai e ha detto alCorriere «faremo i conti sull’interscambio con la Cina a marzo 2020, a un anno dalla firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta».
Negli stessi momenti, il presidente francese Emmanuel Macron, in visita in Cina accompagnato da decine di imprenditori, ha raggiunto accordi con Xi Jinping per 15 miliardi di euro. Nessuna dichiarazione epocale sulla Via della Seta, ma contratti per lo sviluppo di un terminal per il gas a Tianjin e per un gasdotto di 230 chilometri fino a Pechino, la costruzione di uno stabilimento per il trattamento delle scorie radioattive, joint venture per realizzare inceneritori, l’acquisto di motori aereonautici, sinergie per la costruzione di aerei, elicotteri e droni, collaborazione nello spazio, quattro miliardi di «obbligazioni verdi» piazzate dalla Cina sulla borsa di Parigi, fino alle fabbriche di marmellate e all’esportazione di foie gras. L’Italia aspetta di fare i conti a marzo ma intanto gli scambi Roma-Pechino non decollano, l’Austria collega con un treno merci Vienna a Chengdul a 10 mila km di distanza e la Francia stipula contratti sei volte più cospicui rispetto a quelli firmati dall’Italia con l’evanescente marchio «Via della Seta».