16 Settembre 2024

Sbloccati i 50 miliardi di aiuti. Prevista una revisione annuale ma nessun potere di veto al premier ungherese che annuncia: «Entrerò nel gruppo dei conservatori».

Anche stavolta l’Unione europea ha salvato la faccia, ma è stata a un passo dal perderla. Secondo un copione che ormai si ripete, all’ultimo è riuscita a neutralizzare il veto di Viktor Orbán: i 27 leader Ue hanno trovato all’unanimità l’accordo per il pacchetto di aiuti da 50 miliardi da fornire all’Ucraina nell’ambito del bilancio comunitario. E a ribadire così il proprio sostegno finanziario e militare al Paese in guerra: un segnale importante anche per Washington. «L’Ue sta assumendo la leadership e la responsabilità nel sostenere l’Ucraina», ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Diversamente sarebbe stato un regalo al presidente russo Vladimir Putin.
Pochi minuti dopo l’inizio del vertice straordinario, convocato proprio per superare il veto che il premier ungherese aveva posto nel summit di dicembre, è arrivato su X l’annuncio del presidente Michel: «Abbiamo un accordo. #Unity». L’intesa è il risultato di un’intensa attività diplomatica e pressione da parte dei leader Ue, che si è intensificata nelle ultime ore. Il presidente francese Emmanuel Macron e Charles Michel sono stati gli architetti della soluzione contenuta nelle conclusioni del summit, aiutati nella mediazione dalla premier Giorgia Meloni, a cui è stato riconosciuto da più fonti europee un ruolo di primo piano.
Nella notte Orbán ha avuto bilaterali con Macron e con Meloni. Prima dell’inizio del summit, fondamentale è stata la riunione ristretta con il premier ungherese a cui hanno partecipato von der Leyen, Michel, Meloni, Macron e Scholz: «Era necessario ricostruire la fiducia reciproca dopo il congelamento dei fondi ungheresi per il mancato rispetto dello Stato di diritto», ha spiegato una fonte Ue. E il faccia a faccia è servito perché Orbán ha accettato il compromesso, poi sottoposto agli altri leader Ue, che non dà alcun potere di veto all’Ungheria sugli aiuti a Kiev, come aveva invece chiesto con insistenza nei giorni scorsi.
I leader Ue hanno concordato che ogni anno la Commissione Ue farà una relazione sull’attuazione del piano di sostegno finanziario all’Ucraina e il Consiglio europeo un dibattito su come distribuire gli aiuti. Se necessario tra due anni il Consiglio europeo inviterà la Commissione a presentare una proposta di revisione nel contesto del prossimo bilancio Ue. Inoltre è stato inserito nel testo un riferimento alle conclusioni del Consiglio europeo del 2020 sul meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto, che è lo strumento usato dalla Commissione Ue un anno fa per congelare una quota dei fondi ungheresi. Viene detto che le misure prese devono essere «proporzionali». È la parte politicamente più rilevante per Orbán perché letta come un richiamo al rispetto delle regole per Bruxelles, accusata da Budapest di non essere imparziale.
Tuttavia in conferenza stampa von der Leyen è stata chiara: Orbán non ha ricevuto rassicurazioni su un eventuale scongelamento dei fondi. E Macron ha ribadito che «l’Ungheria non ha ricevuto alcun regalo». Del resto i leader Ue avevano fatto capire che il tempo per i ricatti era finito. Il polacco Donald Tusk, entrando al summit, aveva detto che «Orbán è una minaccia alla nostra sicurezza: dobbiamo valutare tutte le misure e le conseguenze possibili in futuro, non oggi».
Qualcosa il premier ungherese l’ha ottenuta: ha detto, parlando con due cronisti di Repubblica e La Stampa nel suo albergo a Bruxelles, che il suo partito Fidesz, uscito dal Ppe prima di esserne espulso, entrerà al Parlamento Ue nel gruppo dei conservatori dell’Ecr di Meloni dopo il voto.

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