22 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post

di Pietro Salvatori

“Non terrò il mio progetto nel cassetto”. La video-mozione degli affetti di Beppe ai parlamentari

Se facesse ridere sarebbe una sit-com, visti i contenuti rischia di assomigliare più a un dramma elisabettiano. Conte, dopo una mattinata di relax passata a giocare a tennis, bolla quella di Grillo come una “svolta autocratica”, lo accusa di avergli avanzato “richieste umilianti”, definisce la sua proposta di statuto “medievale” molla gli ormeggi e conferma che la sua proposta politica “non rimarrà nel cassetto”. Paola Taverna chiede che lo statuto dell’ex premier venga messo ai voti, ma intanto i suoi iniziano a rispolverare il pallottoliere. Si lavora sull’ipotesi di costituzione di gruppi contiani, i più ottimisti sperano di arrivare a 150 parlamentari, i più realisti fermano l’asticella poco sotto i 100, divisi equamente tra Senato – dove supererebbero di gran lunga i colleghi rimasti nei 5 stelle, guidati da Stefano Patuanelli, Paola Taverna e Ettore Licheri – anche se senza un simbolo presentatosi alle ultime elezioni sarebbe impossibile costituirlo, e Camera – nella quale dragherebbero circa un terzo delle forze pentastellate, anche se uno dei nomi più di peso, quello del ministro Federico D’Incà, non sarebbe della partita.
Grillo fiuta l’aria, e quando l’assemblea dei deputati si sta per riunire esce con un video sul blog: “Io ho dato a Conte lo statuto, gli ho detto quello che non ti piace lo cambiamo”, dice il fondatore, toni pacati per una specie di mozione degli affetti: “Da da quel giorno lì non ho più sentito nessuno. Lo chiamo e non si fa trovare. Se non ti fidi di me fallo vedere ai parlamentari”, spiega quasi a giustificare le scelte delle ultime ore. Poi attacca: “Nella famosa bozza si metteva al centro lui, lui le nomine dei coordinatori, dei vicepresidenti, e di tutto. Io ho solo chiesto che la funzione del garante fosse la stessa prevista oggi dallo Statuto”. Sull’ex premier vengono addossate le responsabilità della rottura: “Fino all’ultimo abbiamo fatto una trattativa, quando sono venuto in Parlamento ho fatto qualche battuta e lui si è offeso. Poi mi ha fatto telefonata tempestosa, mi ha detto non ti rispondo più, ti rispondo in conferenza stampa”.
Passa mezz’ora e l’ex premier replica a muso duro: “Ho sempre rispettato Grillo, ma gli chiedo di non dire falsità sul mio conto. Abbiamo una fittissima corrispondenza documentale, se mi autorizza sono pronto a pubblicarla”. Poi annuncia che si andrà alla guerra: “Resto in campo, non può essere la contrarietà di Grillo a fermare la mia proposta politica”. Il livello dello scontro ha raggiunto ormai temperature elevatissime, il Movimento nel mezzo rischia di liquefarsi.
E infatti mentre i due fuori battibeccano, in Parlamento regna il caos. “Convochiamo Grillo e Conte, devono venire loro a spiegare cosa sta succedendo!”. Camera dei deputati, esterno giorno. Stefano Buffagni sfida il caldo con un drappello di colleghi. Si assiepano in un angolo del cortile di Montecitorio, lo spaesamento è generale: “Ma che diciamo in assemblea?”. La mozione della convocazione dei due litiganti è al limite tra provocazione e richiesta politica, i due contendenti hanno lasciato le proprie truppe allo sbando. Si guarda a Luigi Di Maio e a Roberto Fico, dal loro entourage filtra solo silenzio, ma i rispettivi fedelissimi in Parlamento sono convinti: “Sono il cuore del Movimento, non lo abbandonerebbero mai per un partito di Conte”. Non a caso si sono intestati fino all’ultimo la mediazione, non a caso sono rimasti sorpresi dalla pubblicazione del post di Grillo, ma un conto è non essere convinti dell’opportunità e dei toni dell’uscita, un altro è mollare gli ormeggi per aderire a una nuova strada. Lo staff del ministro degli Esteri fa professione di ottimismo e dirama una nota: “Di Maio sta lavorando per l’unità, è necessario agire pensando al bene degli italiani.
Il caos è generale, Vito Crimi ne subisce le conseguenze più abrasive. “Pubblichiamo lo statuto di Conte”, ha provato a dire a Grillo in una concitata telefonata. “Provaci…” è stata la risposta senza mezzi termini del fondatore, evidente il sottinteso: se lo fai sei fuori. Lo scontro tra garante e reggente è totale: Crimi attacca la decisione di coinvolgere Rousseau nella votazione per il Comitato direttivo, il fondatore attacca a testa bassa la sua “controversa reggenza”, pur avendola favorita e alimentata, poi ne minaccia le tasche: “Nel caso, in cui decidessi di utilizzare subito la nuova piattaforma, sarai ritenuto direttamente e personalmente responsabile per ogni conseguenza dannosa dovesse occorrere al MoVimento (azioni di annullamento voto, azioni risarcitorie …) per le scelte contrarie allo statuto che dovessi operare”.
E’ evidente che Grillo abbia consultato i suoi legali per rispondere a Crimi, che tutti danno in odore di fare armi e bagagli e traslocare con Conte nel caso faccia un suo partito, ma il sospetto che circola a Montecitorio è un altro: che dietro ci sia la mano di Davide Casaleggio. L’imprenditore milanese a Roma si ritrova intorno terra bruciata, sono pochissimi quelli disposti a dargli ancora credito, e una prospettiva di ritorno alle origini, dopo che Grillo per mesi ha spinto in altra direzione, non convince nessuno.
Il Senato con una raffica di dichiarazioni si schiera in difesa di Crimi, primo fra tutti Patuanelli (“Pieno e incondizionato sostegno”) anche se è andato a vuoto il tentativo esplorato in una riunione mattutina di una nota collettiva, dopo che nella serata di ieri i senatori avevano provato a riunirsi salvo poi rinunciarvi per l’assenza di Ettore Licheri: “Sarà stato a casa di Conte”, sussurra velenoso un deputato, perché a Montecitorio l’aria per il reggente è pessima, in tanti gli imputano una quota di responsabilità per essere arrivati dove si è arrivati.
Crimi, come anche Roberta Lombardi, minacciano di dimettersi dal Comitato di garanzia, del quale rappresentano i due terzi dei componenti (l’altro è Giancarlo Cancelleri), ma la pressione dei contiani è per consumare il definitivo atto ostile nei confronti di Grillo: autorizzare il voto di sfiducia per il garante, come previsto dall’articolo 8 dell’attuale Statuto. Su quale piattaforma farla, se Rousseau o quella approntata per il partito che doveva essere di Conte, è argomento di riflessione di queste ore, ma prima bisogna superare il nodo politico che non è di poco conto. Sarebbe il big-bang, l’estromissione del “padre-padrone” dalla sua proprietà, un passaggio emotivamente ancor prima che politicamente devastante.

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