Fonte: La Repubblica
di Patrizia Capua
Moglie del patron Giorgio Squinzi, è presidente della Fondazione Sodalitas, che si rivolge ai giovani. Oggi è direttore operativo e strategico del marketing e della comunicazione di un gruppo in cui lavorano 10mila persone
Romagnola di Forlì, classe 1948, sotto il segno dei Gemelli. Voleva diventare giornalista perché amava scrivere e lo fa tuttora. Invece Adriana Spazzoli in Squinzi, a metà degli anni Settanta, sposata e con due figli, è entrata nella Mapei, colosso industriale specialista in adesivi sigillanti e prodotti chimici per l’edilizia, fondato dal suocero Rodolfo nel 1937 e oggi è direttore operativo e strategico del marketing e della comunicazione di un gruppo in cui lavorano 10mila persone, che fattura 2,2 miliardi di euro, ha 72 sedi produttive in 34 paesi del mondo, una ventina negli Usa e in Canada, e 81 consociate.
A Forlì ha abitato fino al matrimonio, nel 1971, con Giorgio Squinzi, amministratore unico della spa, che dal 2012 al 2016 è stato presidente di Confindustria. Adriana Spazzoli ha frequentato il liceo classico a Bologna, “da pendolare come usava ai tempi”, e in seguito si è iscritta a Scienze Politiche, con indirizzo economico. In quegli anni la facoltà era diretta dal professor Beniamino Andreatta, “che mi diede l’opportunità – racconta – di fare esperienze interessanti, con un nucleo di insegnanti giovani, grintosi e rivolti all’estero con cui noi studenti instaurammo ottimi rapporti”. Lì ha conosciuto altri economisti di rango come il professor Alberto Quadrio Curzio. E ha seguito un corso molto innovativo legato alla scienza del marketing che Andreatta aveva appena istituito. Il suo relatore alla tesi sul mercato degli adesivi per l’edilizia in Italia è stato Romano Prodi, “diventato poi un caro amico, lo vedo e lo sento, con un legame personale, niente di politico”.
Prima di indossare i panni dell’imprenditrice, Adriana Spazzoli è stata mamma, di Marco prima, che ha intrapreso la carriere di chimico industriale e coordina la ricerca e sviluppo del gruppo Mapei, e poi di Veronica, che dopo la laurea in Economia alla Statale a Milano e un master alla Bocconi, pur avendo due figli anche lei, si occupa per l’azienda di famiglia della parte strategica e dei nuovi mercati. “Abbiamo lasciato spazio ai ragazzi, hanno una loro indipendenza, ma dialogano con i genitori”. Così il passaggio generazionale in casa Mapei è già nei fatti.
“Li ho seguiti fin quando non hanno cominciato ad andare a scuola – racconta l’imprenditrice – ma nel frattempo ho continuato a studiare, ho approfondito la conoscenza delle lingue, in particolare il tedesco. A scuola avevo imparato il francese, ma ovviamente serviva l’inglese, lingua che non amo, e fui in un certo senso obbligata ad andare all’estero. Sono stata a Londra e in Germania prima di sposarmi. Ho studiato marketing e comunicazione, sono diventata giornalista pubblicista, ho lavorato in una piccola casa editrice, ho aperto un’agenzia di pubbliche relazioni. Quando i figli mi hanno lasciato più spazio, sono entrata in Mapei”.
Adriana dei Gemelli, Giorgio suo marito, del Toro, “siamo riusciti a sintonizzarci in ruoli diversi e a gestire bene tensioni e competizioni. Ho viaggiato moltissimo per lavoro, con lunghi periodi fuori casa. Se lavorare in un’azienda di famiglia è più semplice che da dipendente, mi ha anche complicato la vita perché non ho mai approfittato di questo rapporto. Non mi sono mancati i momenti di sconforto nell’impresa di conciliare famiglia e lavoro e per il timore di non riuscire a raggiungere gli obiettivi dell’impresa”.
Nell’ultimo decennio la crescita del gruppo Mapei è stata esponenziale: produce in 34 paesi, un percorso operativo necessario perché i suoi prodotti sono a base di sabbia e cemento, materiali pesanti, quindi con alti costi di trasporto. Il concetto di chilometro zero vuol dire per la società una distanza inferiore ai cento chilometri. Lo avrebbe approvato il suo fondatore, Rodolfo Squinzi, dipendente di un’azienda che produceva finiture protettive per gli edifici. Amava andare in bicicletta, tanto che avrebbe voluto diventare un ciclista professionista, e perciò il suo datore di lavoro gli concesse di raggiungere la fabbrica in bici per un allenamento quotidiano. Sognava di andare alle Olimpiadi ma la guerra le cancellò. Decise in seguito di mettersi in proprio e creò una sua piccola azienda specializzata in pitturazioni protettive di grandi edifici, come ospedali o stazioni, e tutto quel che nel dopoguerra era necessario ricostruire. “Ha avuto la fortuna – dice Adriana Spazzoli – di avere un figlio che l’ha seguito fin dall’inizio nella gestione imprenditoriale”.
La Mapei non ha mai cambiato strada né linea strategica, però si è evoluta in base ai nuovi settori di riferimento e alle esigenze dei compratori, si è saputa trasformare, in linea con le esigenze del tempo. Dalla Brianza ai Paesi arabi, per esempio, in relazione al mercato dell’arredamento quando tra gli anni Sessanta e Settanta è esplosa la domanda per i mobili classici, e assecondando le moderne tendenze del design d’autore italiano negli Stati Uniti, soprattutto nel settore contract.
In azienda Adriana Spazzoli ha riversato le sue competenze e le specificità del carattere. “Sono romagnola, impulsiva, creativa, ho capacità di dialogare e di ascoltare, mi adatto alle situazioni”. Nell’head quarter sempre rimasto a Milano, benché il mercato italiano si sia ridotto al meno del 20 per cento rispetto a Nord America e Asia, va in macchina, sebbene ora tentata, dice, dalla bicicletta. “Il mio team di lavoro è di 36 persone, ho molte ragazze e mi trovo a fronteggiare il problema delle maternità e dei part time, ma senza alcuno stress. Tra le nostre 71 consociate ho organizzato gruppi di marketing operativo più o meno grandi a seconda del paese in cui si trovano, per un totale di 268 persone. Ci riteniamo indispensabili per supportare i nostri venditori nelle richieste di un mercato in continua evoluzione”. Nella costante messa a punto di nuovi materiali partendo dal settore dei resilienti, i primi prodotti da cui Mapei ha cominciato, che servivano per gli edifici industriali alla fine degli anni Cinquanta. All’interno tutti i pavimenti era fatti con gomma gialla e nera Pirelli che veniva applicata in sopraelevato per permettere a cavi e altri impianti di passare sotto. Era necessaria una posa in opera professionale e corretta, e Pirelli aveva creato una scuola di posatori affidandola a Squinzi. Da lì la scelta di Mapei di investire sulla formazione.
Negli anni Settanta un altro step. In Emilia e Romagna prende impulso il mercato delle piastrelle e designer dell’alta moda come Krizia e Valentino grazie anche alla tecnologia stabiliscono una partnership con l’industria d’eccellenza delle piastrelle che conquista tutto il mondo. Mapei sviluppa la tecnica di un’applicazione semplice e veloce, così come aveva fatto con i resilienti. Vola negli Usa in joint venture con i rappresentanti di una rete di piccoli produttori sassuolesi legati ai big del fashion. Poi arrivano i turchi, gli spagnoli, ora i cinesi. Mapei è sempre andata a braccetto con loro.
C’è anche la storia del Sassuolo calcio. “Avevano una piccola squadra – racconta la manager – con grandi problemi. Si sono rivolti a Giorgio: è nato così il Sassuolo calcio ed è via via cresciuto fino alla serie A. Non per ambizione, ma quasi per un debito morale nei confronti di questa realtà produttiva che resiste come zoccolo duro nel settore della ceramica”.
Più avanti, quando la coscienza ambientalista ha iniziato a prendere piede, Mapei ha ripreso la sua produzione di pitture protettive, con una strategia che punta al risparmio energetico, come il cosiddetto ‘cappotto’, e attenzione alla responsabilità sociale. Le parole d’ordine sono sostenibilità e trasparenza. “Nell’edilizia le donne sono più sensibili a questi problemi. La nostra è un’azienda chimica e siamo ben consapevoli delle problematiche che può incontrare sul mercato”. Aderisce a tutti i progetti di salvaguardia della salute e dell’ambiente. Già agli inizi del Duemila nel Nord America elimina i solventi dai suoi prodotti.
Non resta ancorata al settore delle piastrelle. Cresce nella grande edilizia: ponti, dighe, gallerie, tunnel, aeroporti, con laboratori per lo sviluppo di prodotti, unici a livello mondiale. Il nuovo canale di Panama è stato realizzato con tecnologie italiane. Negli anni Novanta, per la diga delle Tre gole in Cina, Mapei è stata scelta come unica azienda straniera per fornire additivi al calcestruzzo. È presente in Etiopia nella costruzione di dighe.
“Con il progresso in tanti settori, la nostra comunicazione si è adeguata a linguaggi ed esigenze diversi. Per saper parlare con un ingegnere che deve scegliere materiali per una galleria, e nello stesso tempo con un designer incaricato di ristrutturare un grande albergo. Ci vuole flessibilità per passare da un cliente all’altro, da un campo all’altro senza troppi paletti”.
Poi c’è Sodalitas, alla cui presidenza Adriana Spazzoli è passata dopo i dieci anni di gestione da parte dell’industriale farmaceutico Diana Bracco. Ha diecimila partnership in Europa, lavora in sedici regioni italiane. “Sono una neofita, non mi butto facilmente a capofitto nelle avventure, ma dare un contributo al progetto mi è sembrato utile per imparare a costruire, migliorare e crescere dal punto di vista personale”.
Già un centinaio le aziende aderenti, “arriveremo a 110. Non so se sarò in grado, ma ce la sto mettendo tutta. Col gruppo di lavoro di 150 volontari che mi supporta, rappresentato da ex manager che vogliono dare un contributo di benessere alla società e sono il braccio operativo per portare avanti i progetti, ci siamo dati delle priorità. Il terzo settore sta affrontando momenti di crisi e difficoltà, e io penso di continuare a coinvolgere un numero sempre più ampio di aziende grandi e sensibili, convinte che l’impegno verso la responsabilità sociale sia una prospettiva di crescita e sviluppo anche per loro stesse. Lavoriamo nel settore della scuola, sulla formazione dei ragazzi per aiutarli nelle loro scelte future. Ci sono un milione e quattrocentomila giovani che non hanno lavoro. Si appoggiano troppo alla famiglia. Devono mettersi in gioco, andare fuori, noi gli spieghiamo come prepararsi alle sfide europee”.
Oltre all’amore per il giardinaggio, l’opera, il nuoto, la lettura, ha preso spazio anche il ruolo di nonna verso con quattro nipoti, da due a otto anni. “È bello stare con i bambini, vederli crescere; sono la mia prospettiva per il futuro. Questo è oggi il progetto principale, cerco di rinforzare la squadra per quando un po’ alla volta lascerò spazio agli altri”.