EDITORIALE
di: Pierluigi Battista
Fonte: Corriere della Sera
E adesso, dove vuole arrivare Forza Italia? Se ha legato a tal punto e indissolubilmente il suo futuro politico alla sorte parlamentare del leader, cos’altro dovrà essere strappato, oltre al (legittimo) formale ritiro dalla maggioranza che sostiene il governo Letta?
Si sono affrettati a dire, i maggiorenti di Forza Italia, che si ritirano da tutto: anche dal tavolo delle riforme istituzionali. Resta solo la terra bruciata. Soltanto la demolizione del perimetro che dovrebbe tenere insieme forze politiche diverse, alternative e conflittuali tra loro, eppure accomunate dallo stesso destino democratico. Resta solo l’incoerenza assoluta di indicare come nemico numero uno il capo dello Stato che si è contribuito ad eleggere sette mesi fa. Che fine ha fatto il senso di responsabilità giustamente sbandierato allora dal Pdl, dopo un esito elettorale che segnava l’impotenza politica perfetta, quando l’Italia sembrava sull’orlo del default istituzionale?
Berlusconi e il suo partito hanno cercato di imporre al Pd, a Enrico Letta e allo stesso Napolitano, come condizione per consentire al governo di non morire, di sposare senza riserve mentali l’idea di una persecuzione giudiziaria del leader del centrodestra. E addirittura di adoperarsi per annullare gli effetti di una condanna definitiva. Una condizione impossibile da accettare. Senza questa condivisione, hanno però sostenuto, la democrazia italiana si sarebbe sostanzialmente svuotata. Ora, alla vigilia del voto sulla decadenza di Berlusconi, hanno scelto per coerenza con questa lettura oltranzista e radicale della parabola giudiziaria del loro leader, di lacerare tutto il tessuto che dovrebbe reggere un sistema fondato sull’alternanza. Altro che legge di Stabilità. Si mettono in una posizione anti-sistema. Hanno suonato le campane a morto per le «larghe intese», proprio mentre in Germania si stanno preparando a sostenerle in una grande coalizione. Non vogliono più contribuire alla riforma della legge elettorale e a quella delle istituzioni. Non è solo la sfiducia a un governo: è l’applicazione letterale del motto distruttivo e autolesionista «Dopo di me il diluvio». Solo che il diluvio travalica i confini di un partito e del suo leader. Da oggi la democrazia italiana vive nella tenaglia di due forze, l’altra sono i Cinque Stelle di Grillo, che rifiutano ogni collaborazione («collaborazionismo»?) con le altre forze politiche sulla base di una nozione minima di bene comune, o interesse generale. La promessa delle riforme istituzionali viene disattesa, come se la necessità di snellire e adeguare le istituzioni per garantire forza ai governi non fosse più attuale. Il senso di responsabilità si è dissolto. E ogni posizione intermedia o dialogante è stata cancellata con la separazione dai «governisti» di Alfano. Il diluvio. Sull’Italia, che non lo merita. E al diavolo il Paese.