Fonte: La Stampa
di Paolo Brusorio
Dopo le tensioni, in Corea comincia un’edizione piena di novità. Alle 12 la cerimonia inaugurale
Ventitrè Olimpiadi invernali ed è come la prima volta. Un po’ ci si mette il Cio con la tendenza a portare la fiaccola laddove sembrava impossibile potesse accendersi, un po’, anzi quasi tutto, è il frutto dalla magia dei Giochi: sedici giorni tra fantasilandia e il museo degli orrori, tra record e frodi, tra stelle filanti e stelle cadenti, tra gloria e oblio. L’ennesimo capitolo di un romanzo senza fine (bello) si scriverà, mentre in Italia sarà mezzogiorno, in una vallata coreana dalla luce anodina che stasera si illuminerà con i colori dei Giochi e della tradizione di un Paese ora leader della modernità, ma che del passato porta le cicatrici oltre che le tradizioni. E le metterà in mostra dentro un nuovo stadio olimpico costruito in montagna per rompere con una recente abitudine, la cerimonia in città, che aveva fatto dell’ouverture olimpica un evento anche metropolitano.
Ritorno all’antico
Nelle intenzioni un ritorno all’antico, nella pratica il pass su un’edizione dei Giochi che invece porta un vento, qui gelido e impertinente, di novità. La forza delle Olimpiadi, ovunque stiano di casa, è quella di rinnovarsi, di guardare a che cosa succede dopo, spesso perdendo di vista quel che accade durante. La vergogna doping di Sochi ne è l’esempio, il Cio ha stretto le maglie ma sa più di rattoppo che di nuovo tessuto. E proprio perché i guardiani dell’olimpismo non possono fermarsi dietro a una provetta, ecco spuntare qui in Corea del Sud quattro nuove discipline: antipasto di quello che potrà succedere nell’edizione estiva di Tokyo 2020. Prima volta per il team event dello sci alpino, la mass start del pattinaggio, il curling misto e il big air dello snowboard. Non cambieranno la storia dello sport, siamo d’accordo, ma ogni novità ha una propria ratio: rimpinguare la dote di medaglie della disciplina regina della montagna; spettacolarizzare una gara ad uso e consumo delle tv; portare una quota rosa anche dove gli uomini faticano a farsi conoscere e strizzare l’occhio alla young generation innamorata dell’acrobazia. Thomas Bach, che del Cio è il presidente, è stato uno schermidore, disciplina classica se ce n’è una e quanto di più lontano dal carrozzone, ma è proprio rinnovando se stessi che i Giochi diventano universali. Anche sulla carta geografica: per sei nazioni sarà la prima volta, e l’Africa è presente come mai in precedenza. Gli sport invernali non possono essere universali per definizione, ma l’onda lunga non si ferma. Gigantismo è la degenerazione di gigante, l’Olimpiade ha dapprima preso le misure al mondo che cambia, ora rischia di perderle se chi le manovra non sta attento a trasfigurarle.
Trent’anni al massimo
Ci sarà un torneo dimostrativo di snow volley, nell’anticamera delle new entry; vedremo (non siamo obbligati) una gara di sci tra robot. Sono progetti di otto Università coreane e c’è poco da sorridere, chissà che tra un po’ non li vedremo sul podio. Nel 1988 la Corea del Sud apriva le porte al mondo con le Olimpiadi estive, oggi ne riporta qui una fetta, compresa quella più vicina, il nemico del Nord. In trent’anni l’economia qui è volata, Seul è la capitale dell’undicesima potenza mondiale, i colossi Made in Corea hanno in mano le nostre vite e ovviamente non è un caso se tra le primizie olimpiche ci finiscano azzardi tecnologici che difficilmente altrove sarebbero comparsi. Poi da domani si comincia con la corsa alle medaglie, quella sì immobile e affascinan te nei secoli dei secoli.