16 Settembre 2024

Il racconto della ragazza dopo l’arrivo a casa. Adesso riposo nella sua abitazione all’Appio, protetta dai genitori e dal fratello. Lo sforzo italiano per non farla processare da Teheran e il massimo riserbo per non turbare la trattativa

La passione per i viaggi non si è spenta, ma per un po’ Alessia Piperno resterà a casa. Nel palazzo di via Carlo Cipolla, nella zona non proprio centrale dell’Appio, assediato per tutto il giorno dai cronisti che, alle 18.20 di ieri, l’hanno vista passare rapidamente, incappucciata e abbracciata al padre Alberto. Seguita dalla madre Manuela, dal fratello David e da un’amica di famiglia. Tutti in silenzio. Non solo per l’emozione, ma anche per rispettare il riserbo del governo e dell’intelligence che ha avvolto tutta l’operazione che l’ha riportata in Italia. «Ma sono stati 44 giorni duri, in sei in una cella per un mese e mezzo. Ma non sono stata maltrattata», ha detto Alessia Piperno, travel blogger di 30 anni, durante il breve incontro con il sindaco di Roma Roberto Gualtieri all’accoglienza del 31° Stormo dell’aeroporto di Ciampino, appena sbarcata da un Falcon 900 dell’Aeronautica militare.
Poche parole prima di salire sul van scuro che l’ha riportata nella sua abitazione, scambiate anche con il premier Giorgia Meloni, che qualche ora prima aveva dato la notizia della sua scarcerazione dal penitenziario di Evin dove era stata rinchiusa il 28 settembre scorso, accusata di aver preso parte a una delle manifestazioni di piazza a Teheran contro il regime e in segno di solidarietà per la morte di Mahsa Amini. «Non ho subìto atteggiamenti violenti, sono stata trattata bene. Ho mangiato regolarmente cibo occidentale», ha ripetuto ancora Alessia, a sottolineare il fatto che la durezza della detenzione, in un momento peraltro molto difficile per l’Iran, non è sfociata in qualcosa di peggio.
Anche perché le premesse non erano state incoraggianti —con una rivolta scoppiata proprio in quel carcere — e durante il primo incontro con l’ambasciatore italiano a Teheran Giuseppe Perrone la ragazza era bendata, in cella con un’altra giovane reclusa iraniana. Entrambe si trovavano nella famigerata «sezione 209», quella dei detenuti politici. Era l’11 ottobre scorso.
Da quel momento l’attività della Farnesina e dei servizi di intelligence si è intensificata per arrivare a un accordo con la controparte iraniana e allo stesso tempo monitorare condizioni di salute e trattamento della 30enne romana, alla quale in un primo momento sarebbe stato contestato anche di avere il visto scaduto, ma soprattutto di soggiornare in un ostello dove erano già stati catturati altri giovani manifestanti.
Insomma una situazione molto complicata, appesantita dai rapporti fra Italia e Iran in un momento difficile a livello internazionale. La svolta sarebbe arrivata nei giorni scorsi con tre-quattro contatti telefonici diretti fra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo omologo Amir Abdullahian, che già si erano sentiti in precedenza dopo l’insediamento alla Farnesina dell’ex presidente del Parlamento europeo per parlare di lotta al terrorismo, soluzione politica del conflitto ucraino e revoca delle sanzioni all’Iran. Il contatto risolutivo però c’è stato mercoledì pomeriggio, 24 ore dopo il secondo incontro dell’ambasciatore Perrone con Alessia.
Una tela tessuta con cautela per evitare che la ragazza venisse processata ma anche che riferimenti espliciti a quanto sta accadendo in Iran potessero rovinare la trattativa. Da qui il silenzio della famiglia, convocata alla Farnesina, fino alla telefonata di ieri mattina della ragazza alla madre: «Sono libera!».

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