19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Claudia Mancina

Ciò che conta è capire che è del tutto illusorio che un soggetto politico si costituisca per semplice appartenenza al genere; un soggetto politico si costituisce sulla base di un progetto e di una organizzazione

Caro direttore, sul Corriere di mercoledì 22 febbraio Liliana Cavani lamenta il silenzio delle donne nel dibattito Pd. E’ questa una denuncia che ricorre spesso e merita di essere analizzata un po’ da vicino. Si può davvero pensare che le donne abbiano una voce collettiva, una «autorità di gruppo»? La mia opinione è molto diversa. Penso che se le donne Pd sono silenti, la causa non vada cercata nella carenza di spirito collettivo, ma nella carenza di leadership. Essere donne non attribuisce di per sé una soggettività politica. A meno che non si pensi che le donne, in quanto genere, siano portatrici di una qualità etica particolare e che il loro ingresso nella politica ne cambi forme e modi. Illusione che è stata di molte, dalle suffragiste ai giorni nostri, ma è stata ampiamente smentita dai fatti e da tempo criticata e abbandonata dagli studi femministi. Essere donne certamente comporta delle attitudini di tipo emotivo che non aiutano a immergersi in uno scontro come quello in atto, che vede in campo una conflittualità violenta — ma capace di accordi — tipicamente maschile. Le donne sono meno conflittuali e anche meno capaci di accordi.

Queste però — per quanto giuste — sono notazioni psicologiche che non portano lontano. Dal punto di vista politico, ciò che conta è capire che è del tutto illusorio che un soggetto politico si costituisca per semplice appartenenza al genere; un soggetto politico si costituisce sulla base di un progetto e di una organizzazione. Cose che mancano alle donne della sinistra da vent’anni, da quando cioè è stata scelta la rivendicazione delle quote come unico terreno di iniziativa. Un soggetto politico «donne» non c’è più da molto tempo. Personalmente non ne sento la mancanza. Credo che ci siano, in politica, molte donne brave, la cui autorevolezza non è quasi mai riconosciuta. Questo polverone sulla mancanza di un soggetto collettivo non fa che indebolirle ulteriormente, e togliere riconoscimento a quelle che parlano e prendono posizione, come sta avvenendo anche in questo frangente. Perché, per esempio, cancellare Teresa Bellanova, che ha pronunciato uno degli interventi più importanti dell’Assemblea del 19 scorso?

Ciò che manca alle donne della sinistra, ciò che servirebbe non solo a loro, ma anche al paese, è la crescita di una (o più di una) leadership femminile. Noi abbiamo un altissimo numero di donne in Parlamento, ottime donne al Governo, ma non abbiamo leader femminili. E’ questo un limite grave della politica italiana: è su questo che dovremmo interrogarci. Non aiuterà continuare a inseguire il mito della diversa qualità morale delle donne, della loro presunta tendenza al «noi» più che all’«io». Non aiuterà la continua delegittimazione dell’ambizione femminile, l’aggressività strisciante verso le donne che mostrano di avere questa ambizione, l’incapacità di dare valore a quelle che sono in posizioni di rilievo.

La politica è battaglia, è decisione, è capacità di mettersi a rischio. Se dalle donne ci aspettiamo che si muovano come un gruppo, sarà difficile che sviluppino queste qualità. E non saranno mai leader; al massimo seconde, vice, come propone Violante a Orlando, nel caso che questi scelga di candidarsi. Io non voglio più donne che facciano da vice a qualcuno. Voglio donne che siano prime, che siano leader, come ce ne sono tante negli altri paesi. Voglio donne ambiziose, che abbiano voglia di competere per le posizioni più alte, non per partecipare ma per vincere.

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