Fonte: Corriere della Sera
di Antonio Ferrari
La terribile ammissione del primo ministro Yitzhak Rabin, poco prima di essere ammazzato. Il racconto dell’allora presidente egiziano Mubarak, confermato dagli ambasciatori dello stato ebraico
Ammetto di non avere un carattere facile e arrendevole. Spesso mi irrito forse inutilmente, soprattutto quando ascolto o leggo asinerie assolute, tristi vuoti di memoria, o assuefazione alle comode bugie planetarie che fanno sempre comodo alla maggioranza. Ho già detto che sulla cronaca quotidiana del conflitto israeliano-palestinese lascio parlare i corrispondenti nazionali e internazionali che, con serietà e perizia, seguono meticolosamente fatti e sviluppi. Ma alcune cose bisogna ricordarle. Hamas, il movimento estremista palestinese, non è un frutto casuale della violenza più cieca, nella regione più delicata del mondo, ma una vera invenzione politica. Ne ho prove assolute e inconfutabili. Un giorno, durante un’intervista a quel gentiluomo che era il presidente egiziano di allora, Hosni Mubarak, scoprii un retroscena clamoroso. Mubarak, che evidentemente mi stimava, disse qualcosa di terribile, mentre il mio registratore era in funzione: “Mr. Ferrari, un giorno venne da me il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, che ammiravo per la sua determinazione. Era presente anche re Hussein di Giordania. Rabin, pochi mesi prima di essere ammazzato da un estremista ebreo, mi chiese: “Mr. President, che cosa faccio con Hamas?”. “Replicai di getto- fu la risposta di Mubarak-. Sento dire che siete stati voi ad aver inventato Hamas”. Rimasi di stucco. Poi Rabin, che era un galantuomo, guardò negli occhi il leader egiziano e disse: “Mr President, purtroppo è il più grave errore che Israele ha commesso”. Rimasi davvero folgorato, ma neppur troppo. Allora il nemico principale dello Stato ebraico era il capo laico dell’OLP Yasser Arafat, e Israele decise di creare un alone di interesse e di passione sugli estremisti di Hamas. Concesse persino di farne emigrare centinaia sulle alture del Libano per preparare la resistenza contro Arafat. Avevo il nastro registrato. Lo feci sentire in Siria, all’Università di Damasco, all’Università Americana in Libano, ai tanti amici che ho nelle istituzioni della Giordania. A Milano, durante un incontro alla Fondazione Corriere della Sera ne parlai anche di fronte all’ambasciatore israeliano, che reagì facendo spallucce: “Storie del passato che non interessano più a nessuno”. Insistetti: “Ma è vero o è falso, signor ambasciatore?” Il silenzio glaciale fu la risposta. Evidentemente era tutto vero e nessuno aveva il coraggio di smentire pubblicamente l’eroe Yitzhak Rabin, uno degli uomini più verticali e onesti che ho conosciuto nella mia vita professionale e umana. Se non si ricorda questo passaggio fondamentale non si possono comprendere i viscidi retroscena del conflitto che non accenna a spegnersi, nonostante il cessate il fuoco che vedremo se e quanto terrà. Non amo prendere parte, ma rispetto chi ha il coraggio di scrivere e sostenere verità assolute, come Moni Ovadia, ebreo coraggioso e controtendenza, sul “Manifesto”. Il vero problema è di rispettare la storia, e ovviamente di conoscerla o studiarla se vi sono gravi lacune. Senza questo passaggio, non è facile comprendere i retroscena dell’attuale momento. Con lo screditato Benjamin Netanyahu pronto a vendere l’anima al diavolo per salvare il suo potere ormai sfracellato contro il muro delle sue bugie. Come mi diceva l’ex direttore del Jerusalem Post, Ari Rat, vero liberale, “Bibi sarà sempre prigioniero di sé stesso”. Ma anche i palestinesi sono in pericolo. Se si votasse oggi, come sostiene il collega Ugo Tramballi, è probabile che a Gaza si voti per l’unità dei palestinesi e a Ramallah si voti per Hamas, perché c’è chi non ha più fiducia nel presidente Abu Mazen. Tutto possibile, ma la genesi di questo ultimo conflitto non può escludere storiche responsabilità. L’attuale guerra, l’ennesima, l’ha cominciata Bibi con l’irruzione dei suoi alleati di estrema destra sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, violando con la forza più orribile uno spazio che non è di Israele. Forse, con un po’ di tempo, a parte tregue sul momento violate il giorno dopo, l’attuale fase la chiuderà il saggio presidente americano Joe Biden. Consentitemi, con un po’ di ottimismo, questa convinta speranza.