Fonte: Corriere della Sera
di Maurizio Ferrera
Qualche mese fa, il governo ha preparato un documento sulle sue priorità per il futuro dell’Unione, documento che contiene molte proposte ambiziose per il rafforzamento della solidarietà fra Paesi e delle capacità istituzionali della Ue
Anche se con passo molto felpato, stanno entrando nel vivo i lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa (Cofe), ufficialmente aperta a metà giugno. In italiano il titolo di questa iniziativa suona un po’ fuorviante. Non si tratta infatti di una serie di «lezioni» o discorsi sulla Ue, ma piuttosto di un dialogo organizzato, che durerà qualche mese e aperto a tutti i cittadini, per riflettere sulle sfide che fronteggiano oggi il processo di integrazione.
Q ualcosa di simile si svolse due anni fa in Francia. Sulla scia della protesta dei gilets jaunes , il presidente Macron aveva lanciato un Grand Debat, un’ampia consultazione nazionale sul futuro della Francia. Al dibattito fu dato grande risalto dai media nazionali. Quasi due milioni di francesi manifestarono la propria opinione su una piattaforma digitale e sette milioni presero parte ai vari eventi. Le indicazioni emerse furono poi discusse in Parlamento e non poche furono recepite nei programmi del governo.
Anche la Cofe mira a promuovere un dibattito dal basso sulle questioni dell’integrazione, in risposta al crescente scetticismo dei cittadini nei confronti dell’Europa. In buona misura, il successo dell’iniziativa dipenderà dalla copertura dei media e, soprattutto, dall’investimento che vorranno fare i leader nazionali. Se lo scopo è rimediare al distacco fra cittadini e Ue, sarebbe davvero ingenuo da parte dei governi illudersi che esso possa ridursi, come per miracolo, grazie all’apertura di un canale digitale o di eventi pubblici (www.futureu.europa.eu). La legittimazione popolare è una condizione necessaria per la sopravvivenza e il buon funzionamento delle istituzioni. Va però deliberatamente costruita e coltivata da chi guida, appunto, le istituzioni.
Mentre la Cofe fornisce un utile strumento, la fase che stiamo attraversando costituisce il contesto più appropriato per «avvalorare» la Ue, ribaltando l’immagine negativa che si è radicata in circa un quarto dell’opinione pubblica europea durante l’ultimo decennio, caratterizzato da una sequenza di profonde crisi: finanziaria, economica, sociale, migratoria e da ultimo sanitaria. Nel corso del 2020, sulla scia del Covid la Ue ha saputo ricostruire un quadro di cooperazione e solidarietà fra governi, infrangendo persino il tabù sacro del debito comune e delle sovvenzioni senza rimborso concesse ai Paesi più in difficoltà. È di cruciale importanza non disperdere ora il capitale creato con il pacchetto Next Generation Eu (Ngeu). Ed è altrettanto urgente rafforzare la capacità di agire in modo unitario ed efficace a fronte delle minacce esterne causate dalla crisi afghana e dal disordine internazionale.
È vero che saranno i governi, agendo a Bruxelles, a prendere le decisioni. Ma senza un sostegno popolare diffuso al processo d’integrazione, senza legittimazione dal basso sarà difficile che gli interessi nazionali riescano a comporsi per rendere permanenti, ad esempio, i meccanismi di solidarietà creati durante la pandemia e introdurre nuove politiche comuni.
I temi da dibattere in seno alla Cofe sono quanto mai attuali: dal ruolo esterno della Ue al cambiamento climatico, dai flussi migratori ai problemi economici e sociali, dalla sanità alla transizione digitale. Gli elettori potranno esprimersi su domande cruciali come: vogliamo una genuina Unione europea della difesa e un esercito comune? Il Consiglio europeo dovrebbe decidere a maggioranza qualificata — invece che all’unanimità — su un numero di aree più ampio di quello attuale? Vogliamo completare l’unione economica, bancaria e fiscale? Per finanziare un bilancio Ue più robusto dovremmo introdurre tasse specificamente dedicate a questo fine?
Al termine della Cofe, la palla tornerà a Bruxelles. È probabile che alcuni Paesi chiedano l’avvio di una Conferenza intergovernativa per modificare i Trattati, oppure che si accordino per inaugurare cooperazioni rafforzate in alcuni settori. È in questa fase che conterà il «mandato» popolare ricevuto tramite la Cofe e che ciascun governo potrà far valere a sostegno delle proprie proposte.
Qualche mese fa, il governo italiano ha preparato un documento sulle sue priorità per il futuro dell’Europa. Esso contiene molte proposte ambiziose per il rafforzamento della solidarietà fra Paesi e delle capacità istituzionali della Ue. Si va dalla creazione di una Unione europea della salute a uno schema di assicurazione della disoccupazione, dalla trasformazione del Ngeu in un fondo permanente a un Piano per gli investimenti sostenibili, dalla distribuzione fra Paesi dei richiedenti asilo all’armonizzazione fiscale.
Sarebbe opportuno che le iniziative pubbliche della Cofe in Italia s’incentrassero su questi temi. Quando lanciò il Grand Debat, Macron postò sul sito dell’Eliseo una lettera a tutti i francesi e fece un discorso televisivo. Si trattava di un suo progetto, una campagna pubblicitaria in grande stile era ben giustificata. Senza indulgere al protagonismo, il governo italiano potrebbe oggi dare qualche segnale all’opinione pubblica. L’àncora europea è stata forse l’unica grande costante della politica italiana, sia interna che esterna. Dimenticarsene ora, disinvestendo sul piano comunicativo proprio quando «ce lo chiede l’Europa» , sarebbe un peccato. C’è ancora tempo di recuperare, spiegare e organizzare. Per dotarsi di una dote di consenso da esibire a Bruxelles, quando si dovrà passare dalle parole ai fatti.