Fonte: Corriere della Sera
di Salvatore Bragantini
L’eurozona è piena di difetti ma, come la democrazia, è meglio di ogni alternativa
Cerchiamo di capirci. Per timore del moral hazard che premia chi si comporta male, Berlino respinge, oltre a ogni condivisione dei debiti pubblici, anche l’assicurazione europea dei depositi e un più efficace fondo di risoluzione bancaria (che arriverà a 55 miliardi solo nel 2024). Quando non la combatte duramente, osteggia, salvo tattici omaggi labiali, la politica monetaria della Bce, ormai unica istituzione europea a perseguire interessi europei, non nazionali.
Eppure l’unione bancaria, completata dall’assicurazione sui depositi, aumenta la condivisione privata dei rischi, riducendo il rischio di condivisione pubblica. La Germania condiziona poi i progressi dell’unione bancaria a un nuovo regime, che limiti il possesso da parte delle banche di titoli del debito pubblico del proprio Paese. Il tema è spinoso; da un lato, tali proposte avrebbero dure conseguenze sul finanziamento degli Stati, e farebbero venir meno i titoli «ancora» di cui ogni sistema ha bisogno. Dall’altro, se introdotti gradualmente in tutta l’eurozona, i limiti darebbero luogo a una serie di scambi da cui potrebbe nascere una specie di eurobond sintetico, scrive Daniel Gros su Il Sole 24 ore (13 maggio).
Se però la Germania accelerasse ora, andando fino in fondo, torneremmo al caos, forse alla fine dell’eurozona. Che senso avrebbe mai farla morire, per timore che sia un po’ meno virtuosa di come doveva essere? Sarebbe come il suicidio di chi teme il dolore che il domani potrà recare; con tutto il rispetto per le sofferenze di chi lo fa, scelta del tutto irrazionale. Questa crisi non è causata dell’eccesso di debito pubblico; essa stessa ne ha causato l’aumento. Ciò detto, dobbiamo ammettere che il nostro era eccessivo già da decenni, da prima della fissazione dei parametri di Maastricht. Se oggi esso mette a grave rischio il progetto europeo, noi italiani abbiamo una storica colpa; visto che, come dice Mario Monti, per i tedeschi l’economia è una branca della filosofia morale, avremmo l’obbligo di farne ammenda. Magari gioverebbe alla ripartenza europea.
Come dicono gli inglesi, però, «qui ci siamo già stati». Alla nascita dell’eurozona si rivelò impossibile escludere l’Italia, nonostante sforasse il parametro del debito: allora la fiducia in Carlo A. Ciampi aiutò a superare l’ostacolo. In più, c’è oggi in Europa una spinta nazionalista e xenofoba, che deve moltiplicare le prudenze e spingerci a uno sforzo di comprensione dell’altro. Ignoriamo a nostre spese il brontolio degli strati sociali più esposti al terrore di perdere il benessere acquisito a fatica.
Dell’economia sociale di mercato, alla base della rinascita tedesca e in definitiva di tutto il continente, si vede sempre meno la parte «sociale», e sempre più quella, non già del «mercato», ma del big business, di preferenza oligopolista, che il mercato lo teme come il fuoco. Se la fine del vecchio secolo ci ha mostrato i guasti del controllo affidato alla politica, l’inizio del nuovo mostra cosa accade quando comanda il big business, finanziario e non. Lo scandalo della Volkswagen, che il protezionismo non potrà soffocare, avrà pur insegnato qualcosa.
L’eurozona è piena di difetti ma, come la democrazia, è meglio di ogni alternativa pratica. Meglio andare insieme, pur continuando a litigare, verso un futuro che taglierà fuori chi diviene irrilevante; separarsi come certe coppie acerbe alle prime liti non ci gioverà. Van compresi i timori reciproci fra Nord e Sud, Est e Ovest, ma bisogna che i leader politici chiariscano ai quattro punti cardinali il punto chiave; non è che non si voglia tornare indietro, è che ciò proprio non è materialmente possibile. Se la Ue o l’eurozona crollassero, non riavremmo la placida Europa degli anni 50, con brevi attese ai confini, quasi un lieto diversivo nei rari spostamenti di beni e persone da un Paese all’altro: oggi viviamo in un altro pianeta e l’acrimonia per la separazione, e sul modo per suddividerne gli immani costi, ammorberebbe l’aria europea per decenni, come la nube di Chernobyl. Bisogna accettare la condivisione per non far sprofondare nel caos il continente. Anche qui ci siamo già stati, e non è finita bene.
Evitiamo che ci vadano di mezzo i figli, i milioni di europei che non saprebbero come definirsi lungo linee strettamente nazionali. Cresce una generazione che lavora, vive, si sposa, prolifera, ignara dei confini e che le dogane, e le macerie, non le ha viste. Non deve vederle mai.