Intervista alla presidente Onoraria di ANDE-Milano
ANDE-Milano
Venerdì 8 marzo, per celebrare il giorno delle donne, è stata pubblicata su LEYWEB da Manuela Ravasio, un’intervista alla nostra Presidente Onoraria Claudia Malvezzi, sulla nascita dell’Associazione Nazionale Donne Elettrici del 1946, che qui di seguito riportiamo.
Claudia Malvezzi: una vita per il voto alle donne
Fra pochi giorni 24 milioni di donne elettrici si recheranno alle urne. Saranno decisive? Lo chiediamo alla presidentessa onoraria dell’ANDE, associazione che dal 1946 si batte per la partecipazione politica femminile. E a Leiweb racconta la storia di una lotta che dura da più di 60 anni. E non è ancora finita
Chioma candida e voce piena, con qualche vezzo che fa capolino dal foulard di seta verde smeraldo come una spilla di foglie d’oro e perle, e unghie perfettamente laccate. Claudia Malvezzi è presidente onoraria di ANDE Milano aderente all’Associazione Nazionale Donne Elettrici. Dal 1946, anno in cui le donne in Italia votarono per la prima volta, le “andine” lavorano per favorire una maggiore partecipazione politica femminile. E se una volta si trattava di fare in modo che le donne votassero consapevolmente, oggi la sfida è quella di farle diventare protagoniste della vita pubblica.
Convegno Nazionale ANDE sulla “Legislazione sociale”, Roma, Sala Capizucchi 1949
Come è nata l’associazione?
«L’Ande nasce grazie all’ispirazione di una grande donna, Carla Orlando Garabelli, figlia di Vittorio Emanuele Orlando. Era l’unica femmina di sette fratelli in una famiglia di antica tradizione forense, ma fu la sola a ereditare quella capacità e attrazione per la politica. Durante un suo soggiorno negli Stati Uniti, Carla conobbe le donne della League of Women Voters che durante il periodo elettorale organizzavano incontri per presentare i candidati all’elettorato femminile americano. Tornata in Italia, decise di radunare intorno a sé, da siciliana un po’ snob quale era, élites femminili invitandole, non senza il suo piglio da generalessa, a percorrere anche a piedi le campagne, ad andare di cascina in cascina, di paese in paese, per incontrare quelle donne che, al voto per la prima volta, erano ancora del tutto digiune di politica».
Chi erano queste donne così appassionate e generose?
«Nennella Cutolo, nipote di Ruggero Bonghi, fu accanto a Carla Orlando da subito. Ma ci fu anche una donna con un passato anarchico come Maria Rygier, la repubblicana Tebaldi Chiesa, la delegata italiana all’Onu Flavia Della Gherardesca, e alcune meno note comeVittorina Paoletti e Sara Diaz… Le prime “andine” erano insegnanti, presidi di liceo, maestre: furono loro a insegnare e promuovere una maggiore coscienza politica tra le donne di tutti gli strati sociali».
Il vostro impegno per le donne però, non si limito solo all’invito al voto…
«La partecipazione politica non c’è se non c’è partecipazione e pari dignità nella vita di tutti i giorni. Così, soprattutto a Milano, affrontammo questioni sociali. Negli anni Cinquanta, la nostra consigliera Maly Falck, con l’aiuto di un’altra donna straordinaria, ex mondariso e sindacalista, Maria Dosio, riuscì a ottenere dai Carabinieri una casa dismessa dall’Arma per trasformarla in una casa di riposo per chi era costretta a quel duro lavoro nelle risaie. Nel quartiere Zingone di Trezzano sul Naviglio fondammo poi un centro sociale dove le immigrate potevano incontrarsi e seguire vari corsi. Mi ricordo la mamma di Mino Reitano che ogni giorno veniva per parlare delle qualità canore del figlio, anche se il successo più grande fu il corso di taglio e cucito promosso dalla famiglia Necchi che mise a disposizione macchine da cucire e sei impiegate per insegnare a queste donne un mestiere. Negli anni poi, ci siamo occupate di accesso ai musei, gratuità sui mezzi pubblici per i pensionati, lotta alla droga…».
Veniamo ad oggi. Con le elezioni alle porte, il problema per le donne non è più l’astensionismo, semmai avere un’adeguata rappresentanza. Cosa ne pensa?
«Il principio della democrazia paritaria è irrinunciabile oggi, e Ande infatti lavora per questo. Basti pensare alla recente diffida da parte della sezione romana ai sindaci dei comuni di Civitavecchia, Cerveteri, Frosinone, Gaeta, Ladispoli, Minturno e Rieti, per non aver rispettato le pari opportunità nella formazione delle loro giunte. Un ricorso poi vinto con molta soddisfazione».
Eppure le donne sono quasi il 52 per cento dell’elettorato: basterebbe che le donne votassero le donne, cosa non affatto scontata…
«Su questo punto c’è ancora molto da lavorare. Molto spesso le donne non sono capaci di fare rete e vince ancora un’antica diffidenza. Penso che ci vorrà ancora qualche generazione per questa maturazione: in fondo, siamo un Paese giovane, 150 anni di storia sono un sospiro per costruire un vero senso dello Stato, un vero senso civico. Ma se pensiamo che la rivoluzionaria rinuncia di Franca Viola (la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, ndr) era del 1966, capiamo quanta strada è stata comunque fatta».
Lei è favorevole alle quote rosa?
«Come “andina” le rispondo di sì… pensi che Ande organizzò un convegno sul tema già 15 anni fa. Ma i miei sentimenti personali appartengono a un’altra generazione, una generazione consapevole, e forse più sicura di quanto lo siano le donne oggi, del loro potere. Le donne avevano, e hanno, tutte le qualità per raggiungere posizioni che spetterebbero loro per merito e non per quota. Così, preferirei parlare di pari opportunità piuttosto che di quote rosa che sono, a livello personale, quasi un’umiliazione».
Quali sono i 5 punti fondamentali dell’agenda al femminile per questo Paese?
«Bisogna senz’altro modificare questa legge elettorale che non garantisce una vera rappresentanza paritaria. Ma bisogna anche lavorare per l’affermazione del merito e lottare contro la corruzione. Mi faccia dire però che senza il ricordo, senza coltivare la memoria, non si crea nessun interesse per il bene comune di oggi e del futuro».
Manuela M. Ravasio- 20 febbraio 2013