Se ormai la presenza femminile nelle diverse attività professionali e imprenditoriali è un risultato acquisito, desidero parlare della leadership femminile che si sta affermando pur non essendo un concetto scontato.
Infatti la presenza femminile in economia, in politica e nelle professioni è certamente radicata alla base ma non certo ai vertici.
In settori come la sanità dove le donne sono quasi al 70% le dirigenti apicali si fermano al 25%, così come nell’istruzione universitaria contro tremila ordinarie gli uomini sono dodicimila, con dieci rettrici contro settantasei rettori e in magistratura, dove c’è una netta maggioranza femminile, le posizioni di vertice e nel Consiglio superiore vedono rare presenze femminili.
Nelle aziende, infine, che in Italia sono oltre sei milioni, solo un milione e trecentomila sono amministrate da donne e, proprio partendo da questi dati, nel 2009 Lella Golfo, parlamentare del centro destra nonché presidente della Fondazione Bellisario, e Alessia Mosca, parlamentare del centro sinistra, iniziarono l’iter della proposta sulle quote di genere nei CdA delle società quotate che diventò legge nel 2012.
Un evento unico nella storia politica del nostro Paese con una legge bipartisan che conferma come l’unica rivoluzione gentile e mai violenta, con esiti felicemente positivi, è stata quella delle donne!
Questo modello di governance ha portato a risultati eccellenti sia sul capitale che sul profitto e ha convinto il legislatore a reiterare la norma che era a termine elevando le quote di genere al 40% .
Il modello, dopo 10 anni di discussioni, è stato recepito dall’Europa con la direttiva “Women on boards” incentivando ovunque il dibattito sull’importanza del contributo femminile ai vertici.
Infatti la leadership femminile, secondo molti studi, sarebbe la migliore per gestire le complessità del presente con un tipo di leadership che incentivi la creatività e le idee innovative, che consenta di bilanciare visioni e obiettivi di breve e lungo termine tenendo sempre ben forti le relazioni.
Si richiede empatia, capacità di comunicare, collaborare e fare squadra, elementi necessari per la velocità e complessità del lavoro, per la commistione fra vita e professione e per evitare la fuga dal mondo lavorativo da parte dei migliori talenti.
Altra caratteristica della leadership femminile è la visione, scientificamente studiata dal punto di vista biologico, dove la vista maschile coglie gli oggetti da lontano e in movimento mentre la vista delle donne mette a fuoco meglio i dettagli e ciò che è vicino.
Questo costituisce il multitasking tipicamente femminile, indispensabile in una realtà complessa e in continuo movimento come quella attuale e a ciò si aggiunge la dote di far lavorare bene gli altri motivandoli e ispirandosi.
Se dunque è provato che la leadership femminile esiste bisogna solo comprendere come insegnarla e trasmetterla per aiutare a far cadere gli stereotipi senza rincorrere modelli maschili : un uomo che si impone viene considerato deciso e autorevole, mentre la donna è etichettata come prepotente o addirittura isterica.
Dobbiamo perciò offrire alle giovani dei modelli positivi ai quali ispirarsi e certamente la prima donna presidente del consiglio e la prima donna segretaria del primo partito di opposizione aiutano ai fini di ottenere risultati concreti.
Bisogna poi lavorare sul fattore psicologico che spesso porta le donne ad avere timore di proporsi malgrado la preparazione. Uno studio della Bocconi ha recentemente messo in evidenza come nei concorsi a quiz gli uomini tentano risposte delle quali non sono certi, contro una tendenza femminile ad arrendersi per il timore di sbagliare.
Concludendo è indispensabile reclamare il ruolo che ci spetta nella consapevolezza che il futuro non sono solo le influencers, ma persone che sanno esercitare la propria leadership “gentile”.
Pina Amarelli Mengano