22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Paolo Valentino

Per la prima volta rivendica la leadership tedesca nella Unione. Questa sarà la sua presidenza del semestre europeo. E vuole lasciare il segno

Una sera di qualche anno fa a Berlino, casualmente vicino di tavolo, chiesi a Wolfgang Schäuble qual era la differenza tra lui e Angela Merkel sull’Europa. «Nessuna, ma la cancelliera non la vede con occhi emotivi», fu la sua risposta. Il presidente del Bundestag dev’essere rimasto sorpreso anche lui, due settimane fa, quando Angela Merkel ha fatto in Parlamento il rituale discorso che precede ogni Consiglio europeo.
Dal tono, dalla scelta delle parole, perfino dal linguaggio del corpo, è apparso subito chiaro che la cancelliera stava entrando in una terra fin lì per lei incognita: «Forse l’Europa soffre del fatto che non diciamo abbastanza spesso di cosa possiamo essere orgogliosi, o del fatto che noi europeisti convinti per troppo tempo l’abbiamo data per scontata». Era una Merkel inedita, quasi sentimentale nel riferimento alla propria biografia: «Come persona che ha vissuto i primi 35 anni della sua vita nella Ddr, lasciatemi dire che la promessa di libertà dell’Europa solleva in me un senso di profonda e immutata gratitudine e mi impone il dovere di impegnarmi con tutta la mia forza per realizzarla».
E’ l’ultima estate di Angela Merkel, prima del suo congedo dal potere. E’ la stagione che potrebbe consegnarla per sempre ai libri di Storia. Comincia oggi il semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea, che la cancelliera è chiamata a guidare attraverso la «crisi più grave» della sua storia, una sfida senza precedenti oltre la quale l’Europa può risorgere o cadere.
Il tempo è merce scarsa. Le conseguenze economiche della pandemia sono già devastanti. L’approvazione del Recovery Fund da 750 miliardi di euro, proposto dalla Commissione europea, va messa in sicurezza prima della pausa estiva, possibilmente già al vertice del 17-18 luglio, il primo sotto la presidenza della Germania. Conosciamo le resistenze e le criticità. Sappiamo che sarà difficile. Sappiamo che bisognerà pagare un prezzo per superare l’opposizione di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, i quattro Paesi «frugali» che vogliono dare prestiti e non sussidi, invocando argomenti quasi teologici come l’azzardo morale e la necessità di imparare le lezioni, conditi dell’antica diffidenza verso quelle che il Tonio Kröger di Thomas Mann chiamava le «azzurre lontananze» dei Paesi del Sud.
E’ su questo sfondo che occorre inquadrare l’ennesima metamorfosi di Angela Merkel. La quale ha indossato molte maschere nella sua lunga stagione al potere, ma come nei personaggi di Pirandello tutte con una loro verità e giustificazione. Questa volta però è diverso. Perché in tutte le sue passate incarnazioni alcune costanti erano sempre rimaste. Una sopra tutte: sotto l’egida cauta di Merkel, la grande e ricca Germania non prendeva mai l’iniziativa, non progettava il futuro, semmai «guidava rimanendo indietro». Oppure, come nella crisi finanziaria del 2010, rifiutava il grande atto di solidarietà europea, che probabilmente ci avrebbe permesso di raccontare un’altra storia.
La pandemia ha rigenerato Angela Merkel. La sua formazione scientifica, che le fa vedere la politica come esercizio intellettuale per la soluzione dei problemi, ne ha fatto per lei «la sfida» per antonomasia. Ma allo stesso tempo, Merkel ne ha colto prima di altri la minaccia esistenziale per l’Europa e quindi per la Germania che ne è l’architrave. «L’Europa ha bisogno di noi, tanto quanto noi abbiamo bisogno dell’Europa». Che la cancelliera getti il cuore oltre l’ostacolo e faccia oggi quello che non fece dieci anni fa, proponendo di fatto una parziale mutualizzazione del debito, è possibile grazie a molteplici fattori. Giunta al suo ultimo mandato, è molto più libera e non più frenata dalle resistenze interne alla Cdu. La tanto vituperata Grosse Koalition con la Spd le offre inoltre l’alleato ideale per «una nuova svolta in Europa». Non ultimo, l’ottima gestione della crisi pandemica in Germania, le ha restituito in pochi mesi un capitale politico mai così alto in tutti i suoi 15 anni al potere.
Attenzione, non è che Angela Merkel all’improvviso si sia data una visione, sul modello di Macron. Ma è la prima volta in cui spiega e ripete con chiarezza cos’è in gioco per il suo Paese e per l’Europa. Ed è la prima volta in cui rivendica apertamente una leadership alla Germania. Nel farlo rivela un pathos inconsueto: «E’ una questione di guerra e di pace», ha detto lunedì dopo aver incontrato il presidente francese. Una frase che sembra uscita direttamente dal vocabolario di Helmut Kohl. Che a pronunciarla sia una donna venuta dall’Est, trent’anni dopo la caduta del Muro, è un segno straordinario del cammino compiuto e un buon presagio. Che riesca è un’altra storia: per la cancelliera è «una chance storica e un rischio enorme», dice Henrik Müller, che insegna giornalismo economico all’Università di Dortmund. Ne va del suo lascito. Ma anche del nostro futuro. Sarà la nostra estate con lei.

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