19 Settembre 2024
Voto

Il rilancio possibile? Riforme istituzionali e una legge elettorale capace di favorire una competizione al «centro» penalizzando le estreme: così potrebbero nascere un grande partito conservatore e un grande partito socialdemocratico

Il lasso di tempo trascorso dal momento dell’insediamento del governo Meloni è ormai sufficientemente lungo perché sia possibile osservare quanto segue: il progetto di creazione di una grande forza modernamente conservatrice accarezzato da Giorgia Meloni si scontra con alcuni potenti ostacoli, non si sa se previsti o no da lei e dai suoi collaboratori. Il primo ostacolo ha a che fare con l’eterogeneità della coalizione di governo. Il secondo consiste nell’assenza di una cultura politica all’altezza di una siffatta ambizione. Il terzo dipende dal fatto che la politica è un sistema di interdipendenze (ciò che accade a destra è condizionato da ciò che accade a sinistra e viceversa).
Sul peso delle divisioni nella maggioranza ha scritto Antonio Polito (Corriere del 6 gennaio): su tutti i temi rilevanti su cui non c’è accordo (Mes, eccetera) il governo è costretto a scegliere la sopravvivenza e la durata a scapito dell’incisività dell’azione. Ma ciò ne appanna l’immagine e toglie credibilità, respiro e spinta al progetto conservatore. Il secondo ostacolo consiste in un difetto di cultura politica. Faccio due esempi. Anziché colpire la prima e fondamentale disfunzione del nostro sistema di giustizia, ossia il panpenalismo, l’intrusione del diritto penale in ogni angolo, fessura e piega della vita associata, la maggioranza si è molto impegnata a inventare nuovi reati. Il contrario di ciò che servirebbe al Paese. Il secondo esempio mi è stato appena segnalato. Praticamente alla chetichella, senza rumori né furori (complimenti alla opposizione: tanta ideologia e poca attenzione alle cose che davvero contano) è passata alla fine di dicembre una legge sul «made in Italy» che è un vero capolavoro: fondi ingenti da distribuire tanto alla agricoltura che alle attività culturali (ognun vede la stretta parentela) purché, si capisce, riguardino le eccellenze italiane. Con tanto di albi a cui iscriversi per godere delle sovvenzioni (difatti, eravamo a corto, in questo Paese, di corporazioni), piani strategici triennali e controllo statale.
C’è pure l’invenzione del liceo made in Italy. Una legge ispirata al protezionismo, impregnata di cultura statalista e corporativa. Un moderno conservatorismo dovrebbe puntare su concorrenza e libero mercato. Scommettendo sulla creatività, l’inventività, degli italiani che vogliono fare impresa in qualunque campo liberandoli da lacci e lacciuoli, non puntando su albi, piani strategici e sovvenzioni, ossia sulle forme consuete di distorsione e limitazione della concorrenza. Il terzo ostacolo, la terza ragione per cui è difficile che si affermi e si consolidi un moderno partito conservatore, ha a che fare con l’interdipendenza fra destra e sinistra. E il comma 22: non può esistere un grande e moderno partito conservatore a destra se non c’è un grande partito (modernamente) socialdemocratico a sinistra. E non può esserci un grande partito socialdemocratico a sinistra se non c’è un grande partito conservatore a destra.
L’ultimo, fallito, tentativo di costruire una sinistra moderna si deve a Matteo Renzi. Anche per questo è, da quelle parti, odiato più che mai. Quanto a statalismo e rifiuto della concorrenza anche la sinistra non scherza. Non è, per fare un esempio, che sulle concessioni balneari il Partito democratico abbia fatto alcunché quando stava al governo. La concorrenza non piace a destra come non piace a sinistra dove è intesa come una manifestazione di quella cosa esecrata e esecrabile che la sinistra chiama «liberismo». Tra la «difesa della identità italiana» della destra e la lotta contro il «liberismo» della sinistra, l’Italia corporativa, quella che si difende con le unghie e coi denti dalla concorrenza, quella che si nutre di intervento e protezioni statali, dorme fra due guanciali, è in una botte di ferro. Come uscirne? Sollevarsi dal fango tirandosi per i capelli comporta qualche difficoltà tecnica. Però non bisogna disperare. Talvolta, le innovazioni che servono a un Paese avvengono. A volte si verificano perché almeno una parte di coloro che contribuiscono a innescare l’innovazione non capisce che sta facendo una cosa buona (se lo capisse in tempo forse si fermerebbe).
Se, per un qualche miracolo, passassero riforme istituzionali che, da un lato, rafforzassero il governo (ma servirebbe qualcosa di ben diverso dal premierato nella forma proposta dalla maggioranza) e se, contestualmente, passasse una legge elettorale (maggioritaria e con collegi uninominali) che favorisse la competizione «al centro» penalizzando le estreme, forse allora, dopo qualche tempo, potrebbero nascere davvero quel grande partito conservatore e quel grande partito socialdemocratico che servono all’Italia. Tanto nello schieramento di destra quanto in quello di sinistra ci sono alcuni (pochi, per la verità ) che questa cosa l’hanno capita. Chissà se avranno la forza per influenzare la manovre in corso.
L’Italia corporativa e statalista è allergica all’idea di rafforzare le istituzioni. I suoi poteri di veto si indebolirebbero. E magari, chissà?, le forze della concorrenza prenderebbero il sopravvento. Generando sviluppo, più ricchezza. Plausibilmente, le formazioni politiche dominanti si trasformerebbero, diventando più adatte delle attuali a governare le sfide che si presentano. C’è anche un altro, decisivo, argomento a favore del rafforzamento delle istituzioni. Non è solo che senza questo passaggio i vari progetti politici che vengono sbandierati (di Giorgia Meloni come degli altri) resterebbero irrealizzati. Ci servono istituzioni più forti e forze politiche libere dalla muffa ideologica così diffusa a destra e a sinistra, perché, in futuro, potrebbe diventare indispensabile disporre di strumenti idonei per garantire la tenuta della democrazia. Nonostante la propaganda denunci ogni giorno svolte autoritarie incombenti, la realtà è che in Europa occidentale nessun autoritarismo può prendere il posto della democrazia a meno che non cambino radicalmente le condizioni internazionali. Se questo accadesse — ad esempio, per l’effetto combinato della fine della protezione americana e della crisi dell’Unione europea — allora sì che rischi autoritari si presenterebbero. Solide istituzioni che favoriscano la scomposizione/ricomposizione delle forze politiche, a destra come a sinistra, diventerebbero l’unica difesa disponibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *