23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Goffredo Buccini

Il caso della nave bloccata dal ministro degli Interni Matteo Salvini e l’esempio spagnolo rappresentano precedenti da cui sarà difficile tornare indietro


Qualcosa di storico è accaduto, ammetterlo non è di destra o di sinistra: è puro realismo. Non c’è da cantar vittoria né da menar scandalo ma c’è, semplicemente, da tirare tutti assieme un profondo sospiro di sollievo. Per la prima volta, dopo anni di isolamento nei quali l’Italia era stata ridotta dai suoi partner europei a imbuto rovesciato e sigillato delle migrazioni, il tappo è saltato, il sigillo s’è rotto.
La nave Aquarius, con i suoi 629 migranti (tra cui undici bambini e sette donne incinte) non approderà in un nostro porto ma in quello di Valencia, grazie all’apertura del nuovo premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez. Difficile non riconoscere che questo sia un buon risultato a meno di essere ostaggi dell’ideologismo più accanito. Difficile, in egual misura, non vedere come questo risultato sia frutto di un grosso azzardo politico e giuridico giocato sul filo del rasoio dal ministro degli Interni italiano e capo della Lega, Matteo Salvini: qualcosa che poteva tramutarsi in tragedia se appena i dadi della sorte si fossero girati altrimenti.
Questo azzardo muoveva da ragioni in parte comprensibili e certamente condivise da una grande fetta dell’elettorato cui Salvini non smette di rivolgersi pure nei suoi primi passi istituzionali. Quando, tra sabato e domenica, la Aquarius ha raccolto con una serie di interventi il suo carico di umanità disperata, s’è riproposto un canovaccio che tutti conosciamo da troppo tempo: l’ennesimo rifiuto di Malta di farsi carico dei profughi nel suo spicchio di Mediterraneo (a ragione o a torto nel caso di specie, a questo punto, poco importa); e il consueto non cale dell’Unione Europea e della comunità internazionale: si tratta di una faccenda che devono sbrigarsi maltesi e italiani, ci veniva detto da qualche portavoce della Commissione (il commissario Dimitri Avramopoulos ha poi con medesima leggerezza lodato la «vera solidarietà europea» finalmente mostrata con la scelta di Sánchez). Non risultavano, in quelle ore angosciose di stallo nel mare, solidali prese di posizione da chi, come Emmanuel Macron, aveva sostenuto che l’Italia fosse stata vittima di un fenomeno migratorio «brutale»; o da chi, come Angela Merkel, aveva mostrato comprensione per il nostro lungo isolamento.
C’è, in questo azzardo, finito bene anche per il desiderio politico di Sánchez di marcare subito una netta differenza col proprio predecessore, il conservatore Rajoy, un risvolto cinico che non può sfuggire. E che sta alla base delle vibrate proteste (e minacciate denunce) di un fronte che va dalla sinistra ai radicali, dalla Chiesa alle organizzazioni umanitarie. La domanda posta è semplice: si poteva (si potrà) giocare una simile partita sulla pelle di profughi, famiglie, bambini, madri in fuga da violenza, paura e morte? Si può negare il soccorso in mare nel nome della ragion di Stato? Il fronte umanitario, tuttavia, mostra di dimenticare totalmente la condizione del nostro Paese (frontiere sigillate, Schengen sospeso de facto e flussi frenati a tempo e solo dall’attivismo di Marco Minniti): con uno scontro tra ultimi che sta minando il patto sociale e la convivenza democratica specie nelle aree più svantaggiate delle nostre metropoli. E soprattutto quel fronte pone, a nostro avviso, la domanda in termini impropri.
La mossa di Salvini, prima del clamoroso colpo di scena spagnolo che ne ha «europeizzato» il contesto, era rivolta alle Ong e al loro rapporto controverso con l’Italia: è palese che un blocco, per odioso che sia, si possa semmai applicare a navi attrezzate e sicure come le loro, non certamente a «boat people» sul punto di affondare. I migranti dell’Aquarius erano già in salvo e nostre motovedette avrebbero rifornito la nave in caso di bisogno. Resta un elemento morale quasi indigeribile, è vero: l’idea di far politica gettando sul tavolo verde vite umane. E resta il retrogusto un po’ grottesco d’una battaglia diplomatica tra una potenza mondiale (lo siamo ancora?) e uno staterello grande appena sei volte l’isola di Ischia. Ma, d’altra parte, resta un improvviso cambiamento di scenario che può avvantaggiare gli stessi migranti e cambiare di nuovo la narrazione delle migrazioni in Italia.
Il caso Aquarius e l’esempio spagnolo costituiscono precedenti da cui sarà difficile tornare indietro. In qualche modo si cambia il trattato di Dublino nei fatti prima ancora che nei dossier della diplomazia. Nuovi azzardi sono però sconsigliabili. Non sarà male riprendere il lavoro di Minniti con i libici per evitare un’estate di bracci di ferro. Ricordando che rompere l’isolamento italiano non è una partita di fazioni. E risolvendo magari qualche contraddizione: perché a isolarci di più sono stati sinora i Paesi dell’Est europeo, quel gruppo di Visegrád capitanato dall’ungherese Orbán che Salvini sembra avere eletto a stella polare.

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