22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Paolo Baroni

Non c’è solo Torino a lamentare un ammanco nei trasferimenti di fondi che arrivano da Roma: tutti i comuni italiani – chi più e chi meno – vantano degli arretrati o potrebbero accampare ragioni per chiedere una revisione dei conteggi. «Da solo il contenzioso su Ici-Imu vale almeno 600 milioni di euro», denuncia il sindaco di Ascoli Piceno Guido Castelli, il «ministro delle finanze» dell’Associazione dei comuni italiani.

Il vulnus del 2012
Tutto inizia nel 2012 col decreto «Salva Italia». In quell’occasione il governo Monti decide di abolire l’Ici e istituire l’ Imu prelevandone direttamente un buon 30%. Ai comuni il governo assicura l’assoluta invarianza di gettito, ma poi al momento di fare i conteggi il ministero dell’Economia utilizza dati differenti da quelli reali, sottostimando nei fatti le entrate dei comuni e disponendo di conseguenza trasferimenti più bassi di quelli che le varie amministrazioni di aspettavano. Come se non bastasse quando arriva il governo Letta l’Imu cambia ancora veste, viene introdotta la Tasi e viene modificato il prelievo di sua spettanza (il 7,6 per mille di capannoni ed immobili produttivi) e la situazione si ingarbuglia ancora di più. Per rimediare alle proteste dell’Anci viene istituito un «fondo di perequazione Ici-Imu», che partendo con una dotazione di 60 milioni poi lievitati a 415 ed ora ridotti a 390 dovrebbe fare da cassa di compensazione. Ma in realtà questo fondo si rivela insufficiente. «La finanza locale dal 2013 al 2016 è stata sconquassata da operazioni effettuate in maniera unilaterale dal Mef per far quadrare i conti – spiega Castelli –. Oltre ai tagli reali hanno infatti praticato dei veri e propri tagli occulti a danno dei Comuni che sono affiorati solo in un secondo tempo».
Il risultato è che al Comune di Torino, come spiegava ieri a la Stampa il sindaco Appendino, mancano oltre 60 milioni di euro perché in questi anni è stato accertato un maggior gettito rispetto alla stima del Mef di 20 milioni di euro l’anno che Roma ha coperto solo per la metà. E per questo, forte di due sentenze (Tar e Consiglio di Stato), l’amministrazione del capoluogo piemontese ha deciso di inviare a palazzo Chigi una ingiunzione. In pratica è la stessa strada battuta dal Comune di Lecce che l’anno passato è riuscito a recuperare 16,2 milioni di arretrati e a far scontare 2,6 milioni all’anno di minori tagli. «Le Province si appellano alla magistratura e i comuni al Tar: visto che il governo continua a fare orecchie da mercante anche io ho fatto lo stesso – spiega il primo cittadino di Ascoli – perché non vedo altra strada per sbloccare rimborsi che ci sono dovuti. Ma questo la dice lunga sullo stato dei rapporti tra governo ed enti locali.

L’arretrato giustizia
Ma non c’è solo il contenzioso sull’Imu ad agitare le acque. Un altro tema caldo riguarda gli arretrati che il ministero di Grazia e Giustizia deve alle amministrazioni per l’affitto delle sedi giudiziarie (tribunali, corti d’appello, tar e giudici di pace) che sino a due anni fa, in virtù di una legge del 1941 erano a loro carico. I Comuni vantano 760 milioni di crediti ed il governo ne offre appena 300 rateizzati in 30 anni. «Ma quei crediti li abbiamo messi da tempo a bilancio per cui ora si apre un buco, ed ora saremo costretti ad effettuare degli accantonamenti prudenziali .- conclude Castelli – Una cosa grottesca, davvero paradossale».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *