Fonte: La Repubblica
di Valentina Conte e Annalisa Cuzzocrea
Il vertice concluso alle due di notte. Oggi in Consiglio dei ministri taglio da 3 miliardi del cuneo fiscale. Il leader dei 5 Stelle contrario ad ogni modifica sulle pensioni: “Non faccio esodati”
Litigano sulle pensioni per contendersi la manovra. Ore frenetiche di vigilia della legge di bilancio. Nella notte un vertice politico di maggioranza a Palazzo Chigi, conclusosi alle due, presenti il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri oltre alle delegazioni dei partiti, prova a calmare le acque. Ma la tensione è altissima. Ecco che Gualtieri si presenta con un pacchetto più sostanzioso.
Intanto, 400 milioni in più per il taglio del cuneo fiscale sul primo anno: da 2,6 a 3 miliardi nel 2020 da destinare alle buste paga dei lavoratori fino a 35 mila euro, mentre i 5,3 miliardi del 2021 potrebbero essere divisi tra lavoratori e imprese. Poi 600 milioni per l’abolizione da subito del superticket sanitario da 10 euro.
E l’avvio dell’assegno unico da 240 euro al mese per ogni figlio, creando il “fondo famiglia” operativo già nel 2020 in cui far confluire 10-12 bonus esistenti e le risorse extra stanziate dai giallo-rossi per asili nido e congedo di paternità allungato, in attesa che venga approvata la legge delega sulla famiglia (la proposta Delrio-Nannicini).
Un punto di caduta arrivato al culmine della battaglia sulle pensioni. Se il problema sono le coperture della manovra, allora “Italia Viva propone l’abolizione totale di quota 100 e i risparmi vadano all’assegno per i figli: pensiamo alle famiglie!”, twitta il deputato Luigi Marattin, a nome dei renziani.
“Quota 100 non si tocca”, fa sapere subito il leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio, irritatissimo. “Faremo muro. Io non creo altri esodati. Il Movimento Cinque Stelle non farà mai quello che ha fatto Elsa Fornero”.
A stretto giro, anche la ministra pentastellata del Lavoro Nunzia Catalfo chiude: “Quota 100 scade nel 2021 e va portata a termine senza modifiche”. Altro che finestre allungate per consentire risparmi (600 milioni il primo anno, 1 miliardo poi: ma l’Inps ne calcola meno) da impiegare per dare la quattordicesima a un milione di pensionati in più.
Dopo il vertice notturno, si sarebbe trovata una intesa di massima sulla maggior parte dei punti in discussione: in particolare, secondo quanto riferiscono alcune fonti, su quota 100 si lavora a una posizione comune.
I grillini sono scatenati. Alla festa per il decennale del Movimento a Napoli, il capo politico Di Maio e i ministri pentastellati fanno il punto. “Il Pd vuole mettere nuove tasse, impensabile”, scandisce Di Maio. Il riferimento è al balzello sulle tesserine telefoniche – le sim business – rincarate da 6 a 8 euro, ipotesi circolata nei giorni scorsi: “Follia pura”.
Ma anche il ventilato taglio delle detrazioni per i redditi sopra 100-110 mila euro, “già nel 2019, dunque retroattivo”, insorgono i pentastellati. E la flat tax per le partite Iva, la cui soglia fino a 65 mila euro (pagano una tassa piatta al 15%) potrebbe essere ribassata: “Non si tocca”, dicono. Tanto più che il governo ha già deciso di cancellare la seconda parte della misura leghista: la flat tax al 20% da applicare ai redditi degli autonomi tra 65 e 100 mila euro annui.
Il vertice alla fine si fa e si conclude nella notte. Il governo intende tirare dritto sulle coperture. A Bruxelles dirà che i 7 miliardi dalla lotta all’evasione ci sono. Il Consiglio dei ministri previsto per questa sera dovrebbe individuare le azioni di recupero all’interno di un paniere sottoposto ai partiti. Nel frattempo però i ministeri sono restii a individuare il miliardo e mezzo di risparmi a loro richiesto: devono stringere la cinghia ancora una volta e ancora non hanno la lista. Si pensa di attingere di nuovo, come in ogni finanziaria, al settore dei giochi con inasprimenti fiscali in vista.
Come se non bastasse, poi, all’ultimo minuto è spuntato un buco imprevisto, eredità dell’era leghista e frutto di errore contabile. Il taglio alle tariffe Inail, inserito nella manovra dello scorso anno per un triennio e poi reso strutturale dal decreto crescita convertito in legge il 28 giugno scorso, è rimasto privo di copertura per un anno: il 2022. E quindi ora vanno individuati 600 milioni per evitare che le aziende paghino meno fino al 2021, poi di più nel 2022, per tornare a versare meno nel 2023. Un pasticcio. E una grana in più.