La Russia ha bisogno di dimostrare ai suoi alleati autocrati che è fatta di una pasta diversa dagli Stati Uniti, che prima si alleano con qualcuno e poi lo mollano quando si mette nei guai
C’è stato un momento, prima dell’invasione americana dell’Iraq, in cui anche Saddam Hussein avrebbe potuto prendere la strada dell’esilio. Non lo fece, ma causò la morte dei due figli, trascinò il suo Paese nel baratro e lui stesso finì sul patibolo. Anche il colonnello libico Gheddafi lottò sino all’ultimo. Venne scovato in una condotta della fogna e linciato. Del caos che lasciò in Libia meglio non parlare. Bashar al Assad ha scelto una soluzione diversa alla sua parabola di politico aguzzino e forse è una fortuna.
Mentre la Siria festeggiava la fine di 50 anni di regime, le agenzie di stampa russe battevano la notizia che il dittatore e i suoi famigliari erano stati accolti nella Federazione di Putin «per ragioni umanitarie».
La Russia ha bisogno di dimostrare ai suoi alleati autocrati che è fatta di una pasta diversa dagli Stati Uniti, che prima si alleano con qualcuno e poi lo mollano quando si mette nei guai. È successo all’Afghanistan, allo stesso Iraq, all’Egitto della primavera araba, ai curdi. La Russia no, ci tiene a dimostrare che mantiene la parola. L’amicizia tra dittatori rimane sino in fondo. Se c’è bisogno lancia la ciambella delle «ragioni umanitarie». Per la comunità internazionale due schiaffi: le parole «ragioni umanitarie» nella stessa frase con Bashar al Assad sono un insulto alla decenza.
Mosca aveva lamentato la difficoltà di fermare i ribelli. «Se i soldati regolari siriani non combattono, la nostra aviazione non può fare molto». Questione di reputazione. Assad era un protégé di Mosca dai tempi dell’Unione Sovietica, funzionale alla presenza in Medio Oriente. Vederlo cadere è uno smacco. Non a caso gli ucraini hanno rigirato il coltello nella piaga. «La caduta di Assad dimostra la debolezza di Mosca, incapace di combattere su due fronti». Con un colpo di reni diplomatico, Putin però si è cavato d’impaccio davanti ai dittatori di tutto il mondo. Potete finire in disgrazia, ma con noi avrete sempre una via d’uscita. E in più si è assicurato, per il momento, la sicurezza della presenza russa in Siria. Sono la base aerea di Hmeimim e il porto di Tartus nelle provincia di Latakia. I ribelli avrebbero garantito di non toccarle.
Sembra che Abu Mohammed al-Jolani, il capo di questa rivoluzione senza sangue, abbia imparato dagli errori degli ultimi vent’anni. Gli americani avevano licenziato gli ufficiali sunniti di Saddam e li avevano costretti a farsi guerriglieri? Al-Golani tiene in servizio tutti i funzionari pubblici di Assad. Lo Stato Islamico di al-Baghdadi aveva massacrato yazidi e sciiti creando un clima di odio e terrore? Al-Jolani promette di proteggere le minoranze e conferma a capo dell’amministrazione della prima città conquistata, Aleppo, un cristiano. I dittatori intrappolati nell’angolo avevano combattuto sino alla fine causando distruzione ai loro Paesi? Al-Golani concede a Putin di tenere le basi purché gli tolga di mezzo Assad senza stragi. Se anche solo la metà di queste scelte sono state prese con consapevolezza, c’è una seria possibilità che la storia giri per il verso giusto.