21 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Lorenzo Salvia

L’attacco del ministro, nuovo scontro con i pentastellati. Quei sospetti del Movimento sul premier Conte


Il giorno dopo, Giovanni Tria tiene la linea e prova a ricucire. Impresa ardua perché lo strappo sulla Tav («Nessuno investe se si cambiano patti e leggi») sembra un punto di non ritorno. Difficile ricostruire anche un minimo sindacale di fiducia con il Movimento Cinque Stelle. E infatti il tentativo, al di là delle dichiarazioni in chiaro, è andato a vuoto.
Circola la ricostruzione che il ministro dell’Economia sia andato di proposito allo scontro in campo aperto. Insomma, che abbia cercato anzi creato consapevolmente il casus belli per farsi cacciare. E questo perché non si trova a suo agio in un governo che per teoria e pratica è molto lontano dalle sue posizioni. Fantapolitica? Il diretto interessato smentisce. E del resto sa bene che le sue dimissioni o la sua cacciata, poco cambia, porterebbero a un’immediata reazione dei mercati, sotto forma di aumento dello spread e quindi di costo di quella montagna chiamata debito pubblico.
Lo sa bene anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che anche per questo, oltre che per convinzione personale, non ha mai fatto mancare il suo sostegno al ministro dell’Economia. Nemmeno nelle ultime ore. Tria resta al suo posto, dunque. Ma allora cosa l’ha spinto due giorni fa verso quel frontale con il Movimento 5 Stelle, scontro che anche ieri è continuato sul decreto che nomina il nuovo commissario dell’Inps, Pasquale Tridico, con la rinuncia del vice Francesco Verbaro e il ritorno in lizza di Mauro Nori, sponsorizzato dalla Lega e osteggiato dal Movimento Cinque Stelle?
a motivazione profonda dell’attacco dell’altro giorno è da ricercare in un nuovo asse che sta nascendo all’interno del governo. E cioè quello tra il ministro Tria e l’azionista di maggioranza che sta scalando il governo, la Lega. Un patto delimitato, almeno per ora, a un singolo argomento. Quasi un’alleanza a tema. Dove il tema è proprio quello delle infrastrutture e degli investimenti, degli stimoli necessari per sostenerli. Su questo punto Tria e la Lega la pensano allo stesso modo.
Lo stop alla Tav sarebbe un errore non solo per l’opera in sé ma per il messaggio che darebbe agli investitori, che ai primi segnali di incertezza salutano e se ne vanno verso Paesi meno esposti al vento dell’instabilità. Paesi dove si rispettano la parola data e gli accordi scritti. Tria ha costruito la sua carriera da professore proprio sugli investimenti, e sempre a questa sua specializzazione deve la sua seconda vita iniziata da pochi mesi, quella da ministro.
Al di là della propaganda politica, nella legge di Bilancio del governo Conte per gli investimenti c’è poco o niente. Le risorse spendibili sono state sacrificate quasi tutte sull’altare del reddito di cittadinanza e di Quota 100 per le pensioni anticipate. Tria ha dovuto accettarlo, perché questo era scritto nel contratto di governo. Quello che non accetta, e che ha ripetuto anche nel vertice di ieri, è che il M5S «continui a fare campagna elettorale permanente contro le infrastrutture», impugnando la bandiera del no per provare a recuperare il terreno perduto nei confronti della Lega. Il tutto mentre l’economia si sta piantando, con il Pil in flessione e la produzione industriale in picchiata.
Di qui la scelta, suggerita anche dalla Lega, di colpire il Movimento 5 Stelle proprio nel suo giorno più nero, il day after delle elezioni in Sardegna con la leadership di Luigi Di Maio che vacilla. Una scelta cinica, cinica come sa essere solo la politica. E uno schiaffo che il M5S non ha intenzione di perdonare. Dopo l’affondo in tv di lunedì scorso, quelli del Movimento Cinque Stelle avevano inizialmente deciso di non rispondere direttamente a Tria. Nella convinzione che a riportarlo sulla diritta via sarebbe stato il presidente del consiglio, visto che a lui spetta il compito di dare l’indirizzo politico al governo. Ma Giuseppe Conte è rimasto in silenzio.
A quel punto il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha deciso di rispondere a brutto muso. Ma, una volta posato il polverone, quel che resta nel M5S è il sospetto che anche il premier li abbia mollati. E, sulle infrastrutture, abbia scelto l’asse tra Lega e Tria.

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