20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Monica Guerzoni Alessandro Trocino

Accuse, nervi tesi e leader assenti. Il M5S vota il suo futuro

Alle sei del pomeriggio si materializza (da remoto) anche Vito Crimi, con i suoi «tre scenari grezzi» e tanto di slide per illustrarli. E l’assemblea congiunta del Movimento, che più volte era stata sul punto di saltare per protesta contro il capo politico, finalmente inizia. «Stasera vi porrò davanti agli scenari possibili e su quelli vi chiedo di riflettere», parte Crimi e concede ai parlamentari di votare via mail la ricetta per scongiurare la scissione e risollevare il M5S. Un passaggio tutto «interno ai gruppi parlamentari», più per capire l’aria che tira che per lasciare la decisione agli eletti. Perché poi, dopo aver ascoltato tutti, sarà Crimi a «fare la sintesi». In due sale diverse per le norme anti Covid ci sono 90 deputati e una quarantina di senatori e se non sono tutti è perché si era sparsa la voce che il reggente avrebbe disertato.
«Ma come, non viene?». «Se non ci dice quando saranno gli Stati Generali, che ci andiamo a fare?». Il tam tam tra Montecitorio e Palazzo Madama ha fatto scattare la rivolta. Lettere, telefonate, gran movimento di trolley pronti a partire, finché Crimi ci ripensa: «Mai detto che non sarei venuto». Eccolo qui allora, ed ecco i tre scenari. Il primo è scegliere subito il nuovo capo politico con un voto su Rousseau. Il secondo è puntare su un organo collegiale, una sorta di segreteria politica da votare anch’essa sulla piattaforma di Casaleggio. Ultima opzione, convocare senza altri temporeggiamenti gli Stati Generali, guidati da una commissione ad hoc di una decina di membri. Ed è questa, si capirà col passar delle ore, l’ipotesi su cui Crimi punta a far convergere la maggioranza dei voti. Se il reggente la spunterà, gli Stati Generali partiranno entro il 15 ottobre con le assemblee territoriali «dal basso» e la costituzione di una commissione che elabori proposte e documenti.
Applausi e musi lunghi. Fico non c’è, Buffagni nemmeno e vuote restano le sedie di Di Maio, Bonafede, Patuanelli e Fraccaro, a palazzo Chigi per il vertice sul 5G. In compenso ci sono le ministre Lucia Azzolina e Fabiana Dadone, che ha portato il figlio di pochi mesi, Leone. La senatrice Laura Bottici sparge ottimismo: «Ci sentiamo sballottati ma dobbiamo partire dalle cose positive». Mattia Fantinati sprona i colleghi a reagire alla botta: «Quando si cade bisogna rialzarsi». Giusto, ma come? Stati generali adesso, o a marzo? Brevi o lunghi? Un leader solo al comando, o una segreteria in stile Pd? E soprattutto, chi decide cosa?
«Abbiamo preso una grande scoppola», geme il senatore Marco Pellegrini e chiede di coinvolgere subito la base altrimenti «sarebbe un insulto». Anche Roberta Lombardi si fa sentire, ma dai microfoni di Un giorno da pecora: «Mi fa ridere chi diceva no alle alleanze e ora si lamenta del risultato catastrofico». Alessandro Di Battista, insomma. Il clima è questo, anche se Carla Ruocco se ne va sollevata perché l’assemblea «è stata un confronto costruttivo con delle proposte operative». Sarà. Ma intanto lo sfogatoio continua. C’è chi si aggira spaesato, chi perde le staffe, chi chiede di cambiare nome agli Stati Generali. «Dobbiamo ammettere la sconfitta», alza i toni un senatore. Dalila Nesci e Rosa Menga danno voce all’area Parole Guerriere, smentiscono di essere una corrente («non siamo sovversivi!»), bocciano come «irricevibili» le proposte che passano per un voto su Rousseau e dicono «basta caminetti segreti». Nicola Morra, tono da funerale, fa a pezzi quel che resta: «Abbiamo tradito i nostri valori con un metodo verticistico. Dobbiamo cambiare Statuto». Avanti così, fino alla sintesi lapidaria di Luciano Cantone: «Siamo l’uno contro l’altro». Eppure, un po’ come in chiesa quando ci si scambia il segno della pace, ecco un deputato che loda enfatico la ministra Azzolina: «Lucia, sei una bellissima isola paradisiaca in questo mare in tempesta».
A placare le acque ci prova Crimi nella replica, quando quasi implora i gruppi di concentrarsi sui problemi degli italiani: «Anziché accanirci tra di noi su analisi del voto o Stati Generali, usiamo la stessa veemenza per proporre come spendere i 209 miliardi del Recovery e dare risposte al Paese». Destinato agli archivi anche il botta e risposta tra Sebastiano Cubeddu e il reggente sotto accusa. Il deputato laziale dice che «le proposte di Crimi non partono dal basso e manca l’autocritica» e il «capo» si difende: «Se un’autocritica devo fare a me stesso è quella di aver troppo privilegiato i territori». A testimonianza del suo legame con Casaleggio, Crimi chiarisce quale debba essere l’approdo finale: «Noi possiamo dare degli indirizzi ma c’è l’assemblea degli iscritti. Anche a Ferragosto ci sono stati quasi 50 mila votanti. Abbiamo una forza potentissima». Bisognerà vedere come e se usarla. Massimo Bugani è sicuro: «A decidere deve essere Rousseau, non i parlamentari su Gmail».

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