16 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Federico Fubini

L’anno scorso il premier ungherese Viktor Orban e Jaroslaw Kaczynski, l’uomo forte di Varsavia, hanno espresso la loro vocazione senza pudore: «Ci piace rubare cavalli insieme». Parlavano di come nessuno dei due esiti a sfidare i principi europei e erodere lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici. Nel loro caso, una risposta da Bruxelles sta arrivando. Eppure non sembra essere rimasto un grammo di energia in Europa per ammettere che le norme di base di una democrazia sono stracciate anche altrove.

Ciò che Orban e Kaczynski si limitano a minacciare, in Grecia sta accadendo nel silenzio dei governi che finanziano il Paese. Lunedì prossimo la Corte di appello di Atene giudicherà e — date le premesse — probabilmente condannerà al carcere per una presunta violazione procedurale Andreas Georgiou. Non molti fuori dalla Grecia lo ricordano. Vive negli Usa, non appare in pubblico, è il padre single di una bambina. Fu chiamato a salvare l’ufficio statistico greco dopo la più grande frode contabile della storia. La sua colpa è aver svelato nel 2010 le reali dimensioni del deficit di un Paese che era in default, ma non voleva saperlo.

Sulla base dei numeri appurati da Georgiou, in nome dello Stato greco, da allora Atene ha accettato centinaia di miliardi di «prestiti» dagli altri governi d’Europa. Ma lo stesso Stato greco nelle sue corti non ha mai smesso di perseguitare Georgiou, nel silenzio del governo di Atene e dell’Europa. Sull’economista pendono due capi d’accusa (uno è di aver «complottato» per creare danni da 171 miliardi alla nazione) e poco importa che per otto volte certi giudici e procuratori lo abbiano assolto o ne abbiano raccomandato il proscioglimento. I processi ripartono sempre, fra le urla della folla in tribunale («Impiccatelo a Syntagma!»). Se l’area euro (e anche l’Italia) vogliono restare credibili, non possono limitarsi a chiedere ad Atene tagli alle pensioni e decimali di deficit in meno. Devono garantire che in Europa nessuno viene perseguitato per motivi politici.

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