Il direttore delle comunicazioni di Erdogan: «Gli attacchi contro i nostri civili sono conseguenze dirette o indirette del sostegno di alcuni Paesi ad organizzazioni terroristiche»
Ventidue arresti per la strage di Istanbul che domenica 13 novembre ha causato sei vittime e 81 feriti – 5 in terapia intensiva, di cui due gravissimi, secondo il ministro della Sanità. Ad annunciarlo il ministro dell’Interno turco Souleyman Soylu. Tra gli arrestati anche chi avrebbe piazzato la bomba nella via dello shopping di Istiklal. Il governo ha messo sotto accusa il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). «La persona che ha piazzato la bomba è stata arrestata», ha affermato Soylu in una dichiarazione notturna, trasmessa dall’agenzia ufficiale Anadolu e dalle televisioni locali. Sarebbe, secondo la polizia turca, Ahlam Albashir, una donna di nazionalità siriana. Arrestata poco dopo l’attentato, secondo il racconto della polizia avrebbe confessato durante l’interrogatorio di essere stata addestrata come membro dei servizi segreti dall’organizzazione del Pkk e di essere entrata illegalmente in Turchia dalla regione di Afrin, in Siria.
Altre 46 persone sono state arrestate per sospetto coinvolgimento nella vicenda. Il ministro ha accusato le forze curde che controllano gran parte della Siria nord-orientale, che Ankara considera terroristi, di essere dietro l’attacco: «Riteniamo che l’ordine per l’attacco sia stato dato da Kobane», città a maggioranza curda che si trova nel nord della Siria, in un’area in cui la Turchia ha gradualmente allargato la propria sfera di influenza negli ultimi anni, colpendola anche militarmente.
«Gli attacchi terroristici contro i nostri civili sono conseguenze dirette o indirette del sostegno di alcuni Paesi ad organizzazioni terroristiche», ha affermato Fahrettin Altun, direttore delle comunicazioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «Se questi Paesi vogliono l’amicizia della Turchia, devono immediatamente fermare il loro sostegno diretto e indiretto al terrorismo», ha aggiunto il direttore delle comunicazioni del presidente Erdogan.
Il riferimento è in particolare agli Stati Uniti, che hanno sostenuto i curdi nella lotta contro l’Isis, e che sono stati duramente appellati dal ministro dell’Interno Soylu: «Penso che le condoglianze dell’America siano come l’assassino che arriva per primo sul luogo del delitto», ha detto.
Respinte le condoglianze Usa
La Turchia, intanto, ha respinto le condoglianze degli Stati Uniti per la morte di sei persone nell’attentato dinamitardo. «Non accettiamo il messaggio di cordoglio dell’ambasciata americana. Lo rifiutiamo», ha detto il ministro dell’Interno Suleyman Soylu alla televisione. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan accusa spesso Washington di fornire armi ai combattenti curdi nel nord della Siria, considerati ”terroristi” da Ankara.
L’attentato nella via dello shopping
L’attacco, che non è stato rivendicato, ha ucciso sei persone e ne ha ferito 81, metà delle quali è stata ricoverata in ospedale. Il ministro dell’Interno Soylu non ha specificato se tra gli arrestati ci sia la donna che avrebbe potuto piazzare l’ordigno come affermato domenica sera dal presidente Recep Tayyip Erdogan e poi dal suo vice, il presidente Fuat Oktay. Il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag ha fatto riferimento a una “borsa” appoggiata su una panchina: «Una donna si è seduta su una panchina per 40-45 minuti, e qualche tempo dopo c’è stata un’esplosione. Tutti i dati su questa donna sono attualmente sotto recensione», ha continuato. «O questa borsa conteneva un timer o qualcuno l’ha attivato da remoto», ha aggiunto. Secondo quanto fatto sapere dal prefetto di Istanbul, Ali Yerlikaya, le vittime sarebbero tutte turche.
Le dichiarazioni di Erdogan
Il presidente Erdogan è stato il primo a denunciare un «vile attacco», poco prima del volo in Indonesia e del vertice del G20 a Bali: «Le prime osservazioni suggeriscono un attacco terroristico», ha detto il capo dello Stato, aggiungendo che «una donna sarebbe coinvolta in esso». «Gli autori di questo vile attacco saranno smascherati. Che la nostra gente stia sicura che sarà punita», ha promesso Erdogan che aveva già affrontato una campagna di terrore in tutto il paese nel 2015-2016.