19 Settembre 2024

Atteso il via libera di Bruxelles, ma l’Europa è divisa sulle misure: la Germania spinge per un negoziato

>Le trattative sono iniziate giorni dopo l’annuncio dei nuovi dazi europei sulle auto elettriche cinesi, che sommati al precedente 10% potranno arrivare fino al 48%. Oggi, a tre settimane di distanza, è atteso il via effettivo al provvedimento da parte della Commissione europea. L’ultimo appello a ripensarci, o perlomeno ad addolcire le misure annunciate, è arrivato ieri dall’associazione dei costruttori automobilistici tedeschi (Vda). I dazi, è il messaggio, danneggerebbero le case occidentali che esportano dalla Cina. Non solo. Il prevedibile aumento dei prezzi metterebbe a repentaglio l’obiettivo europeo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Infine, arriverebbero le ritorsioni di Pechino.

I rilievi tedeschi
Secondo la Vda, nel 2023 il valore delle esportazioni di autovetture dalla Germania alla Cina è stato più di tre volte il valore delle importazioni dalla Cina, e il valore delle esportazioni dei fornitori di componenti è stato quattro volte superiore al valore delle importazioni. La Commissione, sostengono i costruttori tedeschi, dovrebbe invece concentrarsi su competitività e accesso alle materie prime per i veicoli elettrici.
La politica dei dazi divide gli economisti tedeschi, secondo un sondaggio Ifo pubblicato ieri. Mentre un terzo di loro ritiene che sia un passo appropriato per contrastare i sussidi cinesi – stimati in 230 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2023 dal Center for Strategic and International Studies, think tank con base a Washington – un altro terzo preferirebbe l’assenza totale di dazi per evitare una guerra commerciale. L’11% ha chiesto dazi più bassi, mentre il 6% è favorevole a dazi più alti.

Le posizioni in Europa e gli auspici di Pechino
In realtà anche l’Europa, e questa non è una notizia, è divisa. La Germania, nettamente prima per tutte le esportazioni verso la Cina (97,3 miliardi nel 2023), spinge per un negoziato. Francia, Italia e Spagna (40% della popolazione Ue) sono a favore di misure più decise. Repubblica Ceca, Grecia, Irlanda e Polonia stanno ancora dibattendo la questione, secondo fonti ufficiali e governative, mentre il Belgio ha un governo ad interim e i Paesi Bassi hanno formato un governo solo questa settimana. I dazi, che dovrebbero essere finalizzati a novembre, verrebbero bloccati se una «maggioranza qualificata» di almeno 15 Paesi, rappresentanti il 65% della popolazione dell’Unione, votasse contro.
La Commissione afferma che l’obiettivo dell’inasprimento dei dazi è creare condizioni di parità, non escludere i produttori automobilistici del Dragone (oggi al 6% del mercato, meno di 20 miliardi di euro, ottava voce tra i beni importati in Europa). Effetto che in teoria potrebbero avere le tariffe doganali di oltre il 100% previste dagli Stati Uniti e che i cinesi si stanno preparando ad aggirare, peraltro, andando a produrre batterie e componenti per automobili in Marocco, paese che gode di un accordo di libero scambio con gli Usa.
Ma proprio nell’Europarlamento, la famiglia politica più grande, il Ppe, pur ribadendo il sostegno agli obiettivi vincolanti dell’Ue di ridurre i gas serra del 55% entro questo decennio rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo, insiste per dare spazio ai motori termici alimentati con carburanti sintetici o e-fuels (a basse emissioni) anche dopo il 2035. Quest’ultimo è il termine stabilito nel febbraio 2023 per lo stop alla produzione dei propulsori tradizionali.
Intanto questa mattina il ministero del Commercio cinese ha fatto sapere che si sono tenute diverse consultazioni a livello tecnico tra la Cina e Ue sulle tariffe doganali destinate ai veicoli elettrici. La Cina «spera che l’Ue lavori con la Cina nella stessa direzione sulla questione», ha dichiarato il portavoce del ministero, He Yadong.

Non solo auto, anche le turbine eoliche
La tensione è palpabile e si avverte anche in altri settori. Proprio ieri l’industria europea delle turbine eoliche ha duramente criticato l’accordo tra l’asset manager tedesco Luxcara e la cinese Ming Yang, che avrebbe dovuto fornire 16 turbine con capacità fino a 18,5 MW, installazione prevista per il 2028. Luxcara ha dichiarato di aver firmato l’accordo dopo una gara d’appalto internazionale e una due diligence sulla catena di approvvigionamento. Ma questo non è bastato a evitare lo scontro. Il governo di Berlino riesaminerà il progetto. Non solo. Il governo tedesco ha poi bloccato la vendita alla Cina della Man Energy Solutions, società produttrice di turbine a gas controllata da Volkswagen. Per il ministero il potenziale acquirente non solo appartiene a un gruppo di cantieri navali di proprietà statale, ma ha anche legami con l’esercito cinese.

La competitività
Tornando all’auto, non può essere sottovalutato il vantaggio dei cinesi in fatto di competitività di costo: si attesta intorno al 35% secondo la società di consulenza globale AlixPartners. Questo fattore potrebbe consentire ad alcuni player – in attesa di insediarsi con impianti produttivi, come stanno facendo BYD e Chery – di assorbire l’impatto dei dazi europei e restare competitivi. «La marcia dei brand cinesi di veicoli elettrici in Europa continuerà – ha commentato Lei Xing, fondatore della consulenza AutoXing -. È come passare da 80 a 60 km/h o anche meno, ma senza fermarsi».

Il caso Indonesia (con il tessile)
L’Europa non è sola. La più grande economia del Sud-est asiatico, l’Indonesia, sta preparando l’imposizione di dazi e l’adozione di altre misure per proteggere la sua industria tessile dalle importazioni dalla Cina. L’Indonesia ha mantenuto un surplus commerciale complessivo negli ultimi quattro anni. Tuttavia, il surplus con la Cina si è trasformato in un deficit a maggio. I dazi, anche in questo caso, sarebbero una scelta insidiosa: Pechino è la principale fonte di importazioni e il maggior cliente per le esportazioni indonesiane.

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