19 Settembre 2024

Il fronte dei critici o, quantomeno degli scettici, nei confronti della riforma Calderoli si sta ampliando. Secondo Bruxelles l’autonomia differenziata rischia di aumentare la complessità del quadro fiscale italiano. Mentre per i sindacati aumenterebbe il divario tra le Regioni. Timore condiviso anche dalla Svimez, che evidenzia come l’autonomia differenziata delineata dal governo esponga «l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche». Anche Confindustria, pur ritenendo meritevole di attuazione il principio dell’autonomia, ha espresso delle preoccupazioni. A partire dalla richiesta di lasciare allo Stato la gestione di alcune «competenze strategiche», come le infrastrutture energetiche e di trasporto e il commercio con l’estero.

Le richieste di Confindustria
«Senza aumentare i divari tra Regioni e senza stravolgere le prerogative decisionali previste dall’ordinamento» la riforma «può rafforzare i territori nel solco dei principi di sussidiarietà, efficienza e solidarietà. Il dibattito sull’autonomia può contribuire a migliorare la qualità dei servizi pubblici a livello locale, all’insegna della responsabilizzazione, purché mantenga un costante coordinamento con quelle politiche nazionali orientate alla crescita e alla competitività del sistema produttivo», ha sottolineato il vicepresidente di Confindustria Vito Grassi in audizione in Commissione Affari costituzionali. Il processo di riforma, avverte, «si innesta su una serie di lacune, costituzionali e non solo, la cui risoluzione è cruciale per l’eventuale trasferimento di competenze». Per Confindustria è prioritaria la determinazione dei Lep e l’individuazione delle risorse necessarie a farvi fronte, «ma anche la concretizzazione del principio di perequazione al fine di compensare gli squilibri sofferti dai territori con minore capacità fiscale». Grassi ha spiegato che l’associazione degli industriali condivide «i timori di chi ritiene che il raggiungimento di questi obiettivi, in assenza di uno stanziamento aggiuntivo di risorse, possa non risultare scontato». Confindustria inoltre mette in guardia da due rischi, che le regioni si trovino a dover assicurare prestazioni essenziali con risorse insufficienti, e che il riconoscimento ad alcune regioni di forme e condizioni particolari di autonomia pregiudichi la possibilità di attribuire alle altre le risorse necessarie a garantire i Lep di loro competenza.

I paletti dell’Abi
Anche l’Abi chiede al governo di «intervenire per correggere» l’impostazione della riforma e in particolare «l’eventuale attuazione della autonomia differenziata a livello regionale in materia bancaria», che sarebbe «un vulnus alle prerogative e alle competenze dello Stato nella disciplina dell’attività creditizia». Lo si legge nel documento approvato dal consiglio dell’associazione, presentato a Palazzo Chigi. Nel documento l’Abi premette di non «schierarsi in momenti politici ed elettorali, in nome dell’indipendenza delle banche dalla politica» ma che le competenze sono nazionali o comunitarie.

Svimez: «Si rischia un indebolimento della capacità competitiva»
«L’autonomia differenziata delineata dal governo espone l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese», ha evidenziato giovedì 25 maggio il direttore della Svimez, Luca Bianchi, intervenendo davanti alla commissione Affari costituzionali del Senato. «Con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione, si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi», ha aggiunto. Secondo Bianchi uno dei principali elementi critici della riforma Calderoli riguarda la mancata individuazione di criteri di accesso al regionalismo differenziato «da verificare sulla base di analisi e valutazione accurate e adeguatamente documentate». «La decisione su quali funzioni decentrare è demandata alla mediazione politica. Governo e Regione, a seguito di una negoziazione, trovano un accordo sulle materie oggetto di devoluzione senza che il Parlamento possa intervenire nel merito», sottolinea il direttore della Svimez.

Le osservazioni di Bruxelles
I dubbi della Commissione Ue riguardano, invece, i possibili effetti dell’autonomia sulla finanza pubblica. «La legge richiede che questa riforma sia neutrale dal punto di vista del bilancio pubblico Tuttavia, senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo. Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica», osserva Bruxelles. «Noi non entriamo nei dibattiti. Certamente, per esperienza, guardiamo dal lato della finanza pubblica, che può essere di interesse a Bruxelles, a come i diversi sistemi di equilibrio tra regioni e autonomie possano incidere. Il Belgio per esempio, è un Paese in qui questa dinamica è importante. Ma l’intenzione della Commissione non è di dare pagelle a questioni di cui discute la politica italiana», ha precisato il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, rispondendo ad una domanda nel punto stampa a margine della presentazione delle raccomandazioni economiche di primavera.

Cgil: «L’ultima cosa che serve è allargare gli squilibri»
La critica dei sindacati in particolare della Cgil, invece, si concentra sul rischio che una maggior autonomia delle regioni faccia crescere gli squilibri tra i territori. «Esprimiamo forte preoccupazione e netta contrarietà, soprattutto alla direzione politica, in Paese che soffre di divario crescente di disuguaglianze. Specialmente con la regionalizzazione della scuola si rischia un colpo mortale all’unità e all’identità culturale del Paese», ha detto Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, intervenendo in audizione in Commissione affari costituzionali del Senato. «In un Paese che soffre di un livello drammatico e crescente di disuguaglianze sociali e di divari territoriali, l’ultima cosa che serve è allargare ulteriormente questi squilibri», ha aggiunto Ferrari. «La nostra preoccupazione è che se, come richiesto da Lombardia e Veneto, anche le altre Regioni pretendessero il trasferimento in via esclusiva di tutte le ventitré materie, dell’unità nazionale rimarrebbe ben poco». Più cauta la Cisl, secondo la quale il «trasferimento di funzioni non deve in alcun modo sbilanciare l’erogazione dei servizi essenziali e compromettere la coesione sociale e l’unità del Paese, ma piuttosto rafforzarla».

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