ECONOMIA/INTERVISTE
Fonte: La StampaIl direttore finanziario della World Bank: con istituti e Cassa depositi per supportare le imprese
Il punto più basso della Grande crisi è «alle spalle» ma risalire verso un orizzonte di crescita sarà difficile se le imprese italiane non capiranno che la missione delle banche sta cambiando e che bisognerà imparare ad approfittare degli enormi spazi di investimento che esistono all’estero, ad esempio nei mercati emergenti. La Banca mondiale, sostiene il direttore finanziario Bertrand Badré, può aiutare sia sul versante finanziario, anche grazie alla collaborazione con le banche italiane o con la Cassa depositi e prestiti, sia su quello dell’assistenza in loco a proiettarsi su questi Paesi. «C’è una montagna di denaro inutilizzato che aspetta soltanto di essere speso», osserva, «e noi possiamo aiutare le aziende italiane ad approfittarne».
Badrè, a che punto siamo della crisi?
«La fase peggiore è alle spalle. La ripresa c’è, anche se procede a ritmi diversi a seconda dei Paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il recupero si vede molto chiaramente. In Europa è più lento in Francia e in Italia e più veloce in Spagna. E in questa fase, in Europa, credo che il percorso verso un’unione bancaria sia molto importante».
Ma la fase preparatoria è dura: il combinato disposto delle sofferenze in aumento e gli esami dei bilanci e degli stress condotti a livello europeo stanno aggravando la stretta del credito.
«Sì ma è un passaggio necessario. Il grande nodo della crisi è stato il crollo di fiducia e ci sono ancora grandi punti interrogativi sulla sostenibilità dei bilanci di molte banche. Credo che la supervisione unica sarà una sfida molto importante. Soprattutto perché affidata ad un’istituzione, la Bce, che gode di un’enorme rispetto e fiducia a livello internazionale. La transizione sarà un po’ faticosa, ma aiuterà anche a risolvere un altro problema, quello della frammentazione dei mercati finanziari. L’unione bancaria è anche un modo per riconquistare sovranità finanziaria e per decidere come finanziare la ripresa».
Che opportunità ci sono nei mercati emergenti per le imprese italiane, anche alla luce del rallentamento di alcuni Paesi come la Cina?
«Nonostante il raffreddamento dei ritmi di crescita di alcune economie emergenti, non bisogna dimenticare che rappresentano ancora il 50% della crescita del Pil mondiale. C’è stato anche un aumento dell’export italiano verso quei mercati negli ultimi anni, ma anche degli investimenti diretti, ed è una tendenza che vogliamo assolutamente incoraggiare».
Come?
«Abbiamo rapporti con alcune banche italiane, Unicredit o Intesa Sanpaolo, ma anche con la Cassa depositi e prestiti, per favorire investimenti in quei Paesi. La Banca mondiale disegna strumenti o meccanismi di finanziamento attraverso accordi con le banche ma offre anche assistenza in loco, advisory per le pmi che vogliono investire lì. Negli ultimi dieci anni i flussi di investimenti verso gli emergenti è decuplicato. Ma è successo anche, a causa della crisi e dei nuovi meccanismi regolatori, che le banche stanno cambiando modo di operare. La grande sfida è questa: le banche saranno sempre più orientate al breve termine e a prodotti poco rischiosi e preferibilmente domestici. Bisogna quindi trovare il modo di rendere accessibili risorse per chi vuole fare investimenti di lungo termine. Soprattutto in Italia, dove l’industria è così dipendente dalle banche».
Non pensa che molte imprese possano essere riluttanti ad investire in questi Paesi perché sono mercati, ma anche regimi politici, difficili?
«Non c’è una “grande scatola nera” chiamata paesi emergenti, le situazioni sono molto differenziate. In molti c’è una cronica mancanza di infrastrutture e ci sono una montagna di soldi inutilizzati che aspettano di essere investiti. Il nostro compito è cercare di colmare questo gap, offrendo un’opportunità alle aziende».