Fonte: Il Sole 24 Ore
di Marco Ferrando
L’attenzione degli investitori sul nuovo test della Bce sui crediti deteriorati e sulla tempistiche delle fusioni
I crediti deteriorati, presto di nuovo sotto la lente della Vigilanza. Il consolidamento cercato ma non ancora trovato. E poi il bail in, lontano in una sua applicazione pratica ma molto vicino nei suoi effetti indiretti, che inevitabilmente si traducono in oneri aggiuntivi per le banche più deboli: la raccolta costa di più, i clienti tendono a spostarsi su istituti considerati più solidi, il margine d’interesse già compromesso dai tassi zero si fa ancora più sottile.
Lucidamente, e al netto di dietrologie “spinte”, c’è questo mix esplosivo dietro al crollo dei titolo Mps di inizio 2016, che – su scale diverse – vale più o meno per tutto il sistema bancario. Che, non a caso, ieri ha vissuto senza eccezioni una giornata nerissima e ha pesato sulle sorti di Piazza affari, dove i titoli bancari hanno un peso specifico più elevato rispetto alle altre borse europee.
In meno di tre settimane il Monte dei Paschi ha lasciato sul terreno un terzo della propria capitalizzazione, portandosi sotto la soglia dei 3 miliardi: in pratica, oggi la banca vale meno di quanto raccolto sei mesi fa sul mercato. Che cosa è accaduto dentro e fuori? Niente, almeno all’apparenza. E questa è la colpa maggiore che il mercato, dopo aver investito otto miliardi in 12 mesi, sembra imputare alla banca. Che sta marciando come da programma nel piano di risanamento (approvato da Bce e Commissione europea), è vero, ma non ha ancora trovato un partner come raccomandato dalla Vigilanza, non può accelerare sulla cessione degli Npl visto che la soluzione di sistema ancora non c’è e – stante questo scenario – non ha nessuna particolare buona notizia da dare al mercato, quello finanziario e quello dei cliente retail, proprio ora che in tempi di bail in si tende a guardare con sfiducia gli ultimi della classe.
Facendo i dovuti paragoni, c’è questa tripla zavorra sui titoli di tutte le banche italiane. Vale la pena di esaminarla nel dettaglio.
I crediti deteriorati
Sono l’eredità pesante (e tuttora crescente), della crisi economica che l’Italia si è lasciata alle spalle l’anno scorso. In Italia, valgono oltre 350 miliardi, di cui 45 riconducibili al Monte dei Paschi: se Siena è l’epicentro, il problema chiaramente riguarda tutto il settore. Che presto sarà al centro di una nuova serie di ispezioni ad hoc da parte della Bce, come ha anticipato sabato Il Sole 24 Ore. E dove non a caso si guarda con straordinario interesse al progetto, ancora ribadito la settimana scorsa dal ministro Pier Carlo Padoan, di costruire una bad bank, o più probabilmente (come anticipato da Il Sole 24 Ore a fine novembre) di vendere alle banche una garanzia pubblica per chi vorrà finanziare sul mercato le proprie bad bank interne, magari in tandem con qualche fondo specializzato. Stando alle dichiarazioni dei giorni scorsi, l’autorizzazione della Commissione europea sarebbe imminente: la notizia è buona, ma – considerata la necessità di operare a prezzi di mercato per non violare le regole sugli aiuti di Stato – potrebbe diventare cattiva quando le banche si troveranno a vendere i propri Non performing loans a prezzi molto più bassi di quelli a cui li hanno a bilancio. I prezzi li farà appunto il mercato, ma la svalutazione dell’82% degli 8,5 miliardi delle quattro banche salvate a novembre intimorisce tutti: lo spettro di nuove pesanti rettifiche aleggia sul settore, con tutte le sue ripercussioni sul capitale degli istituti.
Le aggregazioni
Un anno fa, con il Monte in cerca di un partner e le popolari fresche di riforma, il consolidamento pareva alle porte, con i suoi benefici in termini di efficienza e redditività di un settore ai minimi. In dodici mesi, invece, nulla è successo: nessuno si è presentato a Siena, e tra le popolari l’unica operazione imminente riguarda Bpm e forse il Banco, dove per di più si parla molto degli aspetti di governance e poco di quelli finanziari: ecco un altro motivo di scetticismo per il mercato, che ora sarà testato dal bando pubblicato proprio oggi delle quattro good bank nate a novembre dalle ceneri di Banca Marche e delle altre salvate.
Il bail in
Proprio il salvataggio delle quattro banche, effettuato alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove norme su bail-in, ha avuto l’effetto di attirare l’attenzione su quello che cambia nella gestione delle crisi bancarie. Che, dal primo gennaio, potranno veder coinvolti non solo gli azionisti ma anche obbligazionisti subordinati e senior, e – oltre i 100mila euro – i depositanti. Risolte le quattro crisi, sanate le Bcc in amministrazione straordinarie, oggi la Vigilanza non ha altre situazioni da allarme rosso. Ma tra i risparmiatori e gli investitori (che, sempre a fine dicembre, hanno perso quasi 2 miliardi investiti in obbligazioni senior del Novo Banco portoghese), è cresciuta l’allerta, accelerando l’uscita da un asset class che tra settembre 2014 e settembre 2015 aveva già visto calare del 27% (a 200 miliardi) i bond nelle mani del retail, secondo i dati più freschi di Bankitalia ripresi ieri da Bloomberg.
In un contesto di questo genere, il mercato – che l’anno scorso aveva molto investito sulle banche italiane – ora sta tornando sui suoi passi. Durerà? Può darsi. Ma è anche vero, come ragiona la parte più ottimista del settore, che quanto più i valori scendono tanto più i multipli salgono: rendendo un’opportunità quello che oggi è percepito come un rischio.