Fonte: La Repubblica
di Fabio Bogo
La linea di Palazzo Koch: “Nelle banche ci sono incentivi, orali e non scritti, al collocamento di strumenti del genere e spesso sono i manager degli istituti a spingere questa corsa. E’ avidità? Forse”. E ancora: “Siamo stupefatti per l’accusa europea di aiuti di Stato nel caso di uso del Fondo tutela depositi. Le norme europee sul bail in? Non si sono capite le conseguenze”
ROMA – A palazzo Koch in queste ore l’aria è la stessa che si respirava nel 2003, quando l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti attaccava la Banca d’Italia ed il suo governatore Antonio Fazio. “Recenti collocamenti di strumenti finanziari presso il pubblico, con grave pregiudizio dei risparmiatori, inducono a una riflessione sulle regole e sui poteri di controllo”, sosteneva il ministro del governo Berlusconi, citando i crac Cirio e Parmalat. Adesso la bufera scatenatasi dopo quelli di Banca Popolare dell’Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche porta richieste di dimissioni per omessa vigilanza ed il via libera ad una commissione di inchiesta da parte del premier Matteo Renzi. “La Banca d’Italia non ha nulla da temere – è la linea comune emersa dopo continue consultazioni tra il governatore Ignazio Visco, il direttore generale Salvatore Rossi, e i due vicedirettori Fabio Panetta e Federico Signorini – la coscienza è a posto e la vigilanza per quello che ci risulta ha fatto il suo dovere. Il sistema bancario italiano è più che solido, migliore di quello di altri paesi”. Per dimostrarlo il governatore si è fatto ribadire dagli uffici tecnici quelle cifre che spesso porta ad esempio. “La somma delle passività inesigibili delle quattro banche in questione – ribadisce – è una frazione infinitesimamente più piccola dei crac avvenuti in Germania, Francia e Olanda (…)”. Ciò non toglie che a Via Nazionale ci si stia chiedendo se (…). “Nelle banche ci sono, inutile negarlo, meccanismi di incentivazione alla vendita di prodotti finanziari a rischio, perché questi prodotti generano commissioni per chi le porta a termine e per la banca stessa che ne incassa una parte. Ed è vero – si ragiona al vertice di Palazzo Koch – che spesso sono i manager degli istituti a spingere questa corsa. Vogliamo chiamarla avidità? Forse. Ammettiamolo però: un sacco di quelle obbligazioni sono state vendute non facendo capire di che tipo di prodotto si trattava” (…)
Anche il fronte aperto con la Ue è una ferita che brucia. “Non è vero – ragionano il governatore e i suoi collaboratori – che c’era un ventaglio di opzioni per intervenire nel crac delle 4 banche, perché alcune di queste non erano praticabili.