Fonte: sole 24 Ore
di Riccardo Sorrentino
Una politica monetaria potenzialmente più espansiva per raggiungere i nuovi obiettivi, una nuova forward guidance, una nuova comunicazione: grandi attese per il meeting, tra speranze di ripresa e timori per le varianti
Sarà il meeting della svolta. Dopo l’introduzione – in anticipo rispetto alle attese – della nuova strategia di politica monetaria, nella sua riunione di luglio la Bce dovrà implementare il suo nuovo approccio, anche attraverso una trasformazione importante della comunicazione, sia in termini sostanziali, la forward guidance, per esempio, o l’analisi della situazione economica, monetaria e finanziaria, sia in termini più formali: il comunicato introduttivo dovrebbe essere trasformato.
Un obiettivo simmetrico
L’attesa è grande, anche perché le novità sono importanti. L’attenzione di molti analisti, dopo l’annuncio della strategia, si è concentrata – non del tutto correttamente – sulla simmetria della ricerca dell’obiettivo, che è ormai diventato un 2% pieno. Ogni scostamento, verso l’alto o verso il basso, sarà affrontato con la stessa cura. Finora, invece, un’inflazione più alta del 2% – se “genuina”, ossia se frutto di un aumento generalizzato dei prezzi e non della spinta di alcuni prezzi molto pesanti sull’indice – suscitava un allarme maggiore di un’inflazione invece inferiore.
Un tetto più alto per l’inflazione
È da tempo, però, che la Bce insiste sulla simmetria del suo approccio. Questa parte della nuova strategia non fa che formalizzare qualcosa che era già stato introdotto. L’aspetto più interessante è allora la parte che riguarda i periodi di inflazione particolarmente e persistentemente bassa, come quello attuale. I tassi non possono scendere indefinitamente, quindi occorrono «misure di politica monetaria particolarmente incisive o persistenti» e questo «può comportare un periodo transitorio in cui l’inflazione si colloca su un livello moderatamente al di sopra dell’obiettivo». La Bce accetterà in futuro un’inflazione compresa tra il 2% e, presumibilmente, il 2,5 per cento.
Una Bce «più intelligente» della Fed
È qualcosa di molto simile, e di più intelligente, dell’obiettivo americano dell’“inflazione media del 2% nel tempo”. La strategia Usa è del tutto inadatta dopo periodi di inflazione più alta dell’obiettivo – ovviamente moderata: fasi di forte surriscaldamento dei prezzi richiederebbero scelte diverse – perché imporrebbe una politica molto restrittiva e, nel caso, una recessione causata dalla politica monetaria. La strategia Fed è destinata a essere cambiata relativamente presto. Quella Bce – che sarà comunque rivista nel 2025 – potrà essere corretta, se necessario, in modo più graduale.
Basterebbero queste novità per aspettarsi che la Bce fosse orientata a mantenere una politica espansiva più a lungo. Non sembra però che la novità sia stata apprezzata fino in fondo dai mercati: mentre le aspettative di inflazione di lungo periodo (gli inflation swap rate 5y5y, che puntano al periodo 2026-2031), dopo aver superato quota 1,7% sono scesi sotto quota 1,5%, la curva dei rendimenti ha continuato la sua flessione dopo il relativo irrigidimento della primavera, ma senza grandi strappi.
La cura ha, è vero, cambiato forma, diventando più piatta nella parte più breve della curva, quella relativa alla politica monetaria in senso stretto. In ogni caso, i minimi toccati – lungo tutte le scadenze – a fine 2020 sono lontani. È evidente che le prospettive di ripresa hanno portato verso l’alto i tassi di mercato insieme alla fiammata, sia pur temporanea, dell’inflazione. Ci si può chiedere però – ed è questa la domanda vera che occorrerà porsi di fronte all’esito della riunione di luglio – se la Bce sia soddisfatta delle attuali condizioni finanziarie, e delle più ampie «condizioni di finanziamento», oggi al centro della sua attenzione.
Non è una domanda semplice, e soprattutto, non è una domanda ideologica, “politica”, ma tecnica: troppe sono le variabili in gioco, che spingono in direzioni opposte. I mercati finanziari sono ai massimi anche in Eurolandia: l’indice Eurostoxx Total market è vicinissimo ai massimi storici, dopo una rapidissima corsa iniziata con la pandemia e la politica monetaria ultraespansiva, e ripresa a novembre. Il cambio effettivo dell’euro è però tornato ora sulla media di lungo periodo che può essere considerata una misura “naif” del suo valore di equilibrio (era al di sotto del livello attuale allo scoppio della pandemia).
Soprattutto, hanno perso velocità i prestiti alle imprese. Dopo il balzo dei primi mesi della pandemia, quando è stato necessario rafforzare i bilanci, un rallentamento era nell’ordine delle cose: le imprese, ovviamente, non possono sopportare un aumento indefinito dei debiti. Una creditless recovery non è infrequente (una su cinque secondo le ricerche del Fondo monetario internazionale), ma è chiaro che la situazione va monitorata per capire se la ripresa è sufficientemente sostenuta.
L’ultimo sondaggio sul credito in Eurolandia segnala per il secondo trimestre una moderata crescita della domanda da parte delle imprese per nuovi investimenti mentre il capitale corrente è coperto da importanti “cuscinetti” di liquidità. Gli standard di concessione del credito si sono moderatamente irrigiditi per le imprese. Il costo del credito, inoltre, è rimasto molto basso – ai minimi a maggio in Italia, dove è tra i più bassi d’Europa – ed è ulteriormente calato (anche se il calcolo è falsato dai fattori tecnici dell’attuale, temporanea, inflazione) in termini reali.
Non è una sorpresa, quindi, il fatto che le attese siano elevate. L’applicazione di un cambio di strategia durante una fase di importanti sviluppi non solo dell’attività economica ma forse anche della struttura di alcune economie è di per sé sufficiente a spiegarlo e giustificarlo. Da giovedì 22 luglio, la politica monetaria di Eurolandia inizia davvero una fase tutta nuova.