16 Settembre 2024

La strategia della Banca centrale europea dopo il nono rialzo consecutivo dei tassi d’interesse

Quando qualcuno decide di tassare le banche, significa che le cose vanno meglio di come si temesse. È il segno che persino l’infrastruttura più delicata nell’intera economia appare abbastanza robusta da poterle sfilare delle risorse. Ieri la Banca centrale europea ha fatto proprio questo, naturalmente senza definire la sua misura come una tassa (anche perché le misure fiscali non spettano all’autorità di politica monetaria). Nel merito però la differenza non è molta: da settembre la Bce smetterà di versare gli interessi su una piccola quota degli oltre mille miliardi di liquidità che le banche commerciali depositano presso la banca centrale, così privando queste ultime di entrate — secondo le stime di Bloomberg — per circa 5,4 miliardi di euro all’anno.
La Banca centrale europea e la sua presidente Christine Lagarde hanno spiegato ieri che anche questa, in teoria, è una manovra restrittiva per assecondare il graduale calo dell’inflazione. La realtà potrebbe essere più semplice. Con l’aumento dei tassi d’interesse, la forte frenata in corso dei prestiti (soprattutto alle imprese) e la caduta dei prezzi dei titoli di Stato nei loro bilanci, le banche centrali sono le prime vittime della loro stessa stretta di politica monetaria. Alcune di esse chiuderanno i loro bilanci di esercizio in rosso e persino la Banca d’Italia, che finora è rimasta in attivo, ha già dovuto ridurre di molto il suo utile e con quello il dividendo che versa regolarmente al governo. Non a caso questa è una delle ragioni che il Tesoro cita per spiegare il raddoppio del fabbisogno dello Stato rispetto a un anno fa.
In fondo la Bce non fa che chiedere indietro alle banche una piccola porzione degli abbondanti aiuti degli ultimi anni. Ma appunto Christine Lagarde, agendo con questa sicurezza, dimostra che non tutto va nel peggiore dei modi. Non solo c’è fiducia che il settore finanziario, anche in Italia, non sia più molto cagionevole. Più in generale, questa stretta monetaria ormai vecchia di un anno si presenta come un bicchiere (almeno) mezzo pieno di risultati troppo spesso passati sotto silenzio. Quanti avrebbero immaginato che dopo nove aumenti dei tassi l’occupazione in Europa e in Italia sarebbe stata ai massimi di sempre, con i progressi più rapidi fra i giovani e gli anziani? E quanti avrebbero scommesso che lo spread fra titoli tedeschi e italiani sarebbe stato di un terzo più basso di un anno fa? Che dopo la stretta più rapida della storia si discuta della giusta dose di disinflazione o di deficit — non del senso esistenziale dell’euro, dentro o fuori — oggi sembra normale. Eppure è quasi incredibile dopo l’esperienza di anni recenti. E se va così lo si deve certo all’approccio cauto dei Paesi ritenuti più fragili — Italia, Spagna, Grecia, Portogallo — ma anche ad alcune intuizioni di fondo di Francoforte e Bruxelles che si sono dimostrate corrette. Guidata da Lagarde con sempre maggiore sicurezza, prima di iniziare a alzare i tassi la Bce ha creato per l’Italia uno scudo monetario credibile (il suo «Trasmission Protection Instriment»). E il Piano nazionale di ripresa (Pnrr), quali che siano i duelli con Bruxelles e i difetti di esecuzione, svolge una funzione essenziale anch’essa un po’ trascurata: quella massa di denaro da investire è una polizza di assicurazione, riduce il rischio per l’Italia o altri Paesi di avvitarsi in una nuova stagione depressiva. E scusate se è poco.
Su questo sfondo la Bce avrà fatto errori, ma ora sta favorendo il calo dell’inflazione che da due anni taglieggia i redditi di più di cento milioni di lavoratori. Lagarde ieri ha anche indicato la strada per un recupero del loro potere d’acquisto: «I margini di profitto delle imprese sono abbastanza ampi da permettere lo sforzo necessario per favorire aumenti dei salari», ha detto (sottinteso: senza innescare nuove ondate di rincari).
Ovviamente non siamo nel migliore dei mondi possibili. La Bce può ancora esagerare nella stretta sui tassi, benché da ieri sembri un po’ meno divisa e un errore grave sembri un po’ meno probabile. L’Italia non si è ancora liberata delle sue fragilità di fondo. La Germania, oggi la grande malata, può trascinare l’intera area euro in recessione. E nuove perdite di posti di lavoro ripartiranno probabilmente dall’industria, di questi tempi il settore più debole anche in Italia. Ma in Europa oggi regna quasi un’atmosfera di normalità. Ed è straordinario.

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