22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Alberto Custodero

Molti siti chiusi. Indolenza nel cercare risorse private. Età media del personale di 59 anni. Flop delle sponsorizzazioni. Scarse capacità manageriali. Nell’analisi lucida ma severa del saggio del dirigente del Mibact Antonio Leo Tarasco accanto alle note dolenti vi sono anche le proposte per migliorare la gestione dei beni artistici che il mondo ci invidia

Eccesso di fiducia nella tassazione pubblica. Indolenza nel cercare risorse private. Troppi siti artistici chiusi, o, se aperti, con zero o ochissimi visitatori. Dirigenza troppo anziana, con un’età media di 59 anni. Scarso ricorso a tutti gli strumenti per far rendere economicamente il patrimonio culturale. Incassi ridotti. Ancora poche le sponsorizzazioni private. Troppi visitatori non paganti.
Sono questi i punti critici sviluppati da Antonio Leo Tarasco, alto dirigente del Mibact e professore di diritto amministrativo, nel suo ultimo volume dedicato a ‘Il patrimonio culturale, modelli di gestione e finanza pubblica’ (Editoriale Scientifica). L’analisi è lucida, severa, ma accanto alle note dolenti vi sono anche le proposte per migliorare la gestione del patrimonio culturale, proprio a partire dalla riforma organizzativa voluta dal ministro Dario Franceschini. Il saggio è stato presentato ieri a Roma in occasione del convegno “Quale gestione del patrimonio culturale” svoltosi presso l’Accademia di belle arti in via di Ripetta al quale erano presenti, fra gli altri, il sottosegretario Antimo Cesaro, Lorenzo Casini, consigliere giuridico del ministro Dario Franceschini, Arnaldo Colasanti, della segreteria tecnica del Miur, Filippo Cavazzoni, segretario generale di ConfCultura. E Rossana Rummo, direttrice generale ‘Biblioteche e istituti culturali’ del Mibact, secondo cui “la cultura è sempre stata considerata una spesa e non un investimento. E questo è stato un danno”.
“L’autore – spiega il professor Casini – ogni giorno ha a che fare con il problema della gestione del patrimonio culturale. E la sua analisi impietosa della struttura fa capire quanto lavoro ci sia da fare”. Ecco, questo è lo spirito del cahier des doléance di Tarasco: non è possibile proporre soluzioni se prima non si evidenziano le criticità. Secondo Tarasco, la principale causa della mala gestio del sistema delle ricchezze artistiche nazionali è “la pretesa di una gestione interamente pubblica del patrimonio culturale, accompagnata dalla grande fiducia verso la tassazione pubblica e l’indolenza nella ricerca di risorse private”. Alcuni esempi fanno emergere le incongruenze gestionali.

“Le 4 cause della cattiva gestione”
Un capitolo del saggio è dedicato alle “Quattro cause principali della cattiva gestione del patrimonio culturale” italiano. “La contemporanea azione di quattro fattori principali – spiega l’autore – agendo simultaneamente, producono effetti negativi”. Ecco la cause della “cattiva gestione” secondo Tarasco. La prima: “Eccesso di concentrazione di beni culturali nel territorio italiano”. La seconda: “Eccesso di pubblicazione della gestione di quei beni culturali”. La terza: “Esiguità delle risorse economiche a disposizione”. La quarta: “L’orientamento culturale incentrato sulla considerazione che del patrimonio culturale come ineludibile fonte di spesa e non (anche) come fonte di entrata”.

Siti chiusi. O non visitati
Siti chiusi o scarsa affluenza, anche pari a zero, dei siti aperti, un problema da risolvere. “Nel 2015 rispetto a 155 milioni di visitatori di musei e parchi archeologici –  scrive Tarasco – il 10 per cento di questi (15 milioni), si è concentrato in soli 7 siti dei 508 siti statali culturali censiti nel 2015. Nel 2016, nei 529 siti censiti, oltre la metà degli introiti costituisce il prodotto delle visite in soli tre siti (Uffizi, Pompei e Colosseo)”. Nel 2016 sono stati censiti 529 monumenti e parchi archeologici. Di questi siti, 69 sono chiusi al pubblico. Dei 529 siti ministeriali, 38 hanno registrato nel 2016 zero visitatori pur essendo aperti, cui si aggiungono altri 43 che si collocano nella fascia di 0-999 visitatori, 97 che hanno avuto tra 1000-4999 visitatori (dai 3 ai 6 visitatori giornalieri in media), e 73 siti che hanno avuto tra i 15 e i 30 visitatori medi giornalieri. Su 529 siti ministeriali, ben 251 hanno registrato un numero di visitatori basso o nullo.

Quanto costa mantenere il patrimonio?
Che ci sia qualche cosa che non quadra, dal punto di vista dei conti della cultura, lo si evince pure – sostiene Tarasco – dai dati sul patrimonio. Nel 2015 i soli beni culturali mobili considerati nel conto generale del patrimonio dello Stato ammontava a 171 miliardi di euro. Quanto costa mantenere questo patrimonio? Lo stanziamento a favore del Mibact è stato nel 2017 di 2 miliardi e 100 milioni, oltre al miliardo di euro finanziati dal Cipe per il periodo 2014-2020 che non gravano – almeno direttamente – sul bilancio statale.

Un patrimonio che non rende
Ma il punto dolente è: quanto si ricava dal patrimonio? Tarasco: “Sul fronte delle entrate deve purtroppo notarsi – a parte la sproporzione tra valore della consistenza patrimoniale e ricavi generati dal patrimonio – che questi ultimi sono incentrati sugli introiti di biglietteria. In pratica la principale fonte delle entrate derivante dalla gestione del patrimonio culturale è determinata essenzialmente dalla vendita di biglietti”. “Il deludente risultato – aggiunge il professore Tarasco – è il risultato della combinazione fra tradizionale irresponsabilità nella gestione delle risorse pubbliche, e mancanza di consapevolezza del valore economico dei beni in consegna”. Un esempio: “Pompei e Ercolano hanno ricavato dalla vendita di biglietti 27,5 milioni, ma ha generato ricavi diversi, cioè per concessioni d’uso, e servizi aggiuntivi pari a soli un milione”.

Trascurate altre fonti di finanziamento
“Totalmente dipendente dalla biglietteria – aggiunge – il polo museale del Lazio: il ricavo dai visitatori dei musei laziali è di circa 9 milioni, cioè il 43 per cento del totale di tutti i biglietti venduti in tutti i poli museali regionali del Mibact. Ma nel 2016 per le concessioni d’uso ha incassato solo 2500 euro, mentre il complesso dei ricavi diversi dalla biglietteria è stato di appena 65 mila euro”. Ma altre fonti di finanziamento, come le sponsorizzazioni private, si sono rivelate un flop. “Se si eccettua l’operazione Colosseo (25 milioni, effettivamente versati sei….), dal 2012 al 2015 l’Amministrazione ha ricavato da contratti di sponsor su tutto il territorio nazionale solo 828 mila euro (come confermato anche dall’indagine della Corte dei conti del 2015)”. “Le fonti di finanziamento del sistema del patrimonio culturale appaiono sclerotizzate sul dominante finanziamento pubblico mentre i ricavi generati autonomamente dalla gestione del patrimonio culturale così finanziato è schiacciato sui soli introiti da biglietteria che coprono mediamente il 90 per cento delle entrate”.

Troppi visitatori non paganti
Altro punto controverso quello dei visitatori gratis, che evoca il dibattito sulla fruibilità del patrimonio artistico. “Gli introiti – dice Tarasco – potrebbero aumentare se si facessero pagare tutti i visitatori. Alla determinazione degli introiti totali di 139 milioni di euro nel 2016 hanno concorso 22 milioni e mezzo di visitatori. Ma quelli non paganti sono stati di pari numero, 22 milioni. A parte esenzioni di legge, vi sono siti ingiustificabilmente ad accesso gratuito che totalizzano milioni di visitatori all’anno. Si pensi al Pantheon visitato da 7,3 milioni di turisti e al Parco del museo di Capodimonte di Napoli gratuitamente visitato da un milione di persone”.

Le leve finanziare per far rendere il patrimonio
Tarasco, dopo aver evidenziato le criticità del sistema gestione patrimonio pubblico, fa l’elenco degli strumenti di cui l’amministrazione dispone per poter incassare finanziamenti. Dai canoni di concessione d’uso ai corrispettivi per riproduzioni di immagini (compresi i marchi commerciali che utilizzino elementi del patrimonio culturale). Dalla commercializzazione di prodotti derivati dai beni culturali al valore da assegnare a offerte di sponsorizzazioni ai procedimenti amministrativi che prevedano una remunerazione per l’Amministrazione (sul modello della tassa per il rilascio del passaporto o della carta d’identità). “Le concessioni d’uso dei beni culturali che vanno in mostra in Italia o all’estero per mostre – osserva il dirigente Mibact – fino ad ora hanno fatto guadagnare unicamente alle società organizzatrici”. “C’è bisogno – commenta Tarasco – di sviluppare una sensibilità per i temi economici legati alla gestione: si potrebbero ad esempio registrare molti marchi commerciali aventi ad oggetto proprio beni culturali-simbolo del nostro patrimonio; valutare le ipotesi in cui conviene economicamente affidare la concessione a terzi di molti siti che, pur possedendo una straordinaria ricchezza, risultano di scarsa remuneratività. Insomma, il governo del patrimonio culturale potrà migliorare solo se si punterà ad un tendenziale equilibrio tra entrate e spese”.

Casini: “Manager al ministero? Non sono d’accordo”
La presentazione del saggio ha suscitato un dibattito, con reazioni e commenti. Il consigliere giuridico del ministro, Lorenzo Casini, ha ricordato quanto sia ancora oggi attuale la diagnosi fatta dall’ex ministro della Funzione pubblica Massimo Severo Giannini quando “nel ’71 lamentava la massiccia ignoranza giuridica del personale dei Beni culturali”. “Ciò non significa necessariamente doppiare le figure manageriali – ha però precisato Casini -. I ruoli vanno integrati e non raddoppiati. Non importa se sia necessario l’economista o l’archeologo. Il tema è che il soprintendente deve conoscere come funziona macchina pubblica”.

Cesaro: “Il problema è come valorizzare i beni”.
Secondo il sottosegretario Cesaro, il problema “non è il fatto che i beni siano troppi. Ma come siamo capaci di valorizzarli. Quando vengono stanziati investimenti dobbiamo preoccuparci non solo del numero dei visitatori, ma anche che ci sia una ricaduta culturale turistica che faccia da moltiplicatore all’economia di lungo periodo del territorio su cui insiste il sito attrattore”. A proposito di “esiguità di risorse”, il sottosegretario ha ricordato che nel “2016 è stato stanziato un miliardo per la cultura. Un miliardo che deve valorizzare le ‘perle’, ma creare un indotto di reddito e occupazione. Altrimenti qualcuno un giorno ci chiamerà a rispondere”. L’aumento dei visitatori della Reggia di Caserta, osserva Cesaro, va bene, “ma il dato va valutato considerando il numero dei disoccupati in proporzione alla quantità degli investimenti. I manager devono capire che non esiste solo l’obiettivo dell’aumento dei turisti, ma anche quello del ritorno di ricchezza sul territorio”.

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