19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

attentato-berlino

Nel Tir documenti di un tunisino, a cui era stato negato asilo. Viveva in un centro d’accoglienza in Nord Westfalen. «In carcere 4 anni in Italia». Poche speranze per l’italiana dispersa: in corso esami del Dna

In Germania continua la caccia al killer che lunedì è piombato con un Tir su un mercato di Natale a Berlino, uccidendo 12 persone e ferendone più di 40. C’è un identikit: la polizia tedesca sta cercando un tunisino, dopo aver ritrovato un documento di identità nel camion usato per l’attentato. Il documento, trovato sotto il sedile del conducente, è intestato al cittadino Anis Amri, nato nel 1992 a Tataouine, nel Sud della Tunisia.
Secondo quanto riportato da N24, «il giovane avrebbe vissuto in un centro accoglienza profughi di Kleve», cittadina di 50mila abitanti al confine con l’Olanda e distante oltre 600 chilometri da Berlino. Il giovane, classificato come «pericoloso» dalla polizia, avrebbe avuto «contatti con la rete salafita dell’iracheno Abu Walaa», capo di una cellula di reclutatori per l’Isis e arrestato lo scorso 8 novembre.
Secondo Die Welt, che cita fonti investigative, i commando della polizia tedesca hanno perquisito due appartamenti nel quartiere Kreuzberg di Berlino, alla ricerca del fuggitivo, ma senza risultato.

In carcere 4 anni in Italia
Secondo fonti investigative, Anis Amri è stato 4 anni in carcere in Italia e dopo aver scontato la pena ha ricevuto un provvedimento di espulsione dal nostro paese. Provvedimento che, però, non è andato a buon fine perché le autorità tunisine non hanno effettuato la procedura di riconoscimento nei tempi previsti dalla legge. L’uomo ha successivamente lasciato l’Italia per la Germania.
Il giovane è arrivato in Italia a febbraio del 2011 assieme alle altre migliaia di tunisini che in quei mesi lasciarono il paese in seguito allo scoppio della primavera araba. Quando venne identificato, Anis Amri dichiarò di essere minorenne e dunque fu trasferito in un centro di accoglienza per minori in Sicilia.
Dopo qualche mese di permanenza nel centro, sempre secondo fonti investigative, il tunisino ha compiuto atti di danneggiamento e diversi reati. Diventato nel frattempo maggiorenne, è stato dunque arrestato, processato e condannato a 4 anni. Dal carcere è uscito nella primavera del 2015, ma non è tornato libero: nei suoi confronti è infatti scattato un provvedimento di espulsione. Anis Amri è stato così portato in un Centro di identificazione ed espulsione in attesa del riconoscimento da parte delle autorità tunisine, obbligatorio per poter procedere al rimpatrio. Il riconoscimento, però, non è mai arrivato e, trascorsi i termini di legge, al tunisino è stato notificato un provvedimento di allontanamento dall’Italia.
Nel luglio 2015 Anis Amri aveva poi raggiunto la Germania e dall’aprile 2016 risulta «tollerato». Il sospetto era già stato indagato perché sospettato di preparare gravi attacchi sovversivi contro lo stato. A renderlo noto è stato il ministro dell’Interno del NordReno Westfalia. La richiesta di asilo avanzata all’epoca dal sospetto – ha proseguito il ministro, Ralf Jaeger – era stata respinta dalle autorità tedesche e l’uomo avrebbe dovuto essere rimpatriato. A luglio Anis Amri era stato rinchiuso per due giorni nel carcere di Ravensburg» dopo che «il 30 luglio era stato fermato a Friedrichshafen per un controllo».

La polizia setaccia anche negli ospedali
Questa mattina la polizia avrebbe cercato l’attentatore anche fra i feriti in tutti gli ospedali della capitale tedesca. Lo riferiva il sito dell’emittente pubblica regionale «Rbb» spiegando che «nella cabina di guida ci sarebbe stata una colluttazione prima dell’attentato gli inquirenti presumono che il killer sia ferito. Nella cabina del camion sono state prelevate tracce di Dna. Perciò la polizia nelle ultime ore ha cercato in tutti gli ospedali di Berlino e del Brandeburgo», la regione che circonda la capitale tedesca.

L’autista ha lottato fino all’ultimo
L’altro protagonista della colluttazione è stato l’autista polacco che «avrebbe lottato fino all’ultimo» con l’attentatore e sarebbe stato «ancora in vita, nella cabina, al momento in cui il mezzo ha investito la folla». Sul suo corpo sono state ritrovate «ferite da taglio». A rivelarlo è la Bild, citando fonti investigative. «Ci deve essere stata una lotta», spiega uno degli inquirenti al tabloid. Il terrorista «ha colpito più volte con un coltello» il 37enne polacco Lukasz Urban cui aveva rubato il Tir, mentre quest’ultimo «si sarebbe aggrappato al volante» cercando di deviare il veicolo. Quando il tir si è fermato, l’attentatore avrebbe ucciso l’autista con un colpo di pistola e sarebbe scappato, conclude la Bild.

Le vittime dell’attacco
Sono pochissime le speranze per Fabrizia Di Lorenzo, 31enne abruzzese di Sulmona, dispersa dopo l’attracco. Fabrizia viveva dal 2013 nella capitale tedesca, dove lavorava per un’azienda di trasporti. Il padre è disperato: «Mio figlio a Berlino dice che non ci sono dubbi: è una delle vittime». Ora si attende l’esame del Dna. Tra i morti confermati c’è l’israeliana Dalia Elyakim. Il marito, invece, è gravemente ferito.

Berlino, piazza attentato blindata per manifestazioni
La piazza teatro dell’attacco di lunedì sera è stata blindata oggi dalla polizia a causa di tre diverse manifestazioni previste: una dell’estrema destra, un’altra dietro uno striscione giallo «Berlino migliore senza nazisti». Una terza manifestazione della Linke. Alla chiamata dell’estrema destra hanno risposto solo poche decine di persone, oltre un migliaio invece i partecipanti alla contromanifestazione.

Trump: “Attacco all’umanità, va fermato”
«È un attacco all’umanità. Tutto ciò deve essere fermato»: così Donald Trump sulla strage di Berlino parlando con i giornalisti a Palm Beach, in Florida, dove si trova per le festività di fine anno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *