Fonte: La Stampa
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La Germania accelera sulla riforma ambientalista. Entro il 2020 chiusa la prima centrale. Fondi ai Land
Il governo di Angela Merkel ha deciso di anticipare di tre anni la fuoriuscita del Paese dall’energia generata dalle centrali a carbone, lo stanziamento di qualcosa come 40 miliardi di euro per la riconversione industriale delle regioni che ospitano gli impianti e sussidi e garanzie salariali fino al 2043 alle migliaia di minatori e dipendenti delle centrali che nei prossimi anni perderanno il loro posto di lavoro.
L’inchiostro sul grande progetto di sostenibilità ambientale del green deal voluto da Ursula von der Leyen per l’Unione europea non è ancora asciutto che la Germania dai buoni propositi passa già ai fatti concreti.
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Dopo la fuoriuscita della Germania dall’energia nucleare sancita nel 2011, il governo Merkel ha deciso ora di accelerare i tempi anche per lo spegnimento delle sue 148 centrali a carbone, principali responsabili delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel corso di un vertice notturno nel palazzo della Cancelleria a Berlino, la maggioranza di governo fra cristiano-democratici e socialdemocratici insieme ai governatori delle quattro regioni tedesche che ospitano le miniere e gli impianti si sono accordati ieri sulla tempistica, sul finanziamento e sull’attuazione tecnica dell’ambizioso progetto. La prima centrale verrà così chiusa già entro la fine di quest’anno e l’ultima possibilmente entro il 2035 e non più il 2038 come ancora previsto fino a pochi mesi fa.
I risarcimenti
Ai gestori delle centrali il governo di grande coalizione ha così assicurato risarcimenti per 4,35 miliardi di euro, mentre alle regioni colpite dal provvedimento verranno destinati oltre 30 miliardi a favore della trasformazione delle loro economie e dei piani a sostegno dei lavoratori del settore. Altre 7 centrali elettriche alimentate a carbone verranno spente tra il 2021 e il 2022 nella Renania Settentrionale Vestfalia, le ultime nei Länder tedesco orientali della Sassonia Anhalt e del Brandeburgo nel 2035.
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«Una scelta coraggiosa, un segnale importante anche a livello internazionale: la Germania è il primo Paese che esce sia dal nucleare che dal carbone», ha dichiarato la ministra socialdemocratica all’Ambiente Svenja Schulze. Una scelta coraggiosa ma anche realistica e realizzabile dal momento che già oggi la Germania copre oltre il 40% del suo fabbisogno energetico con eolico e solare. Con il piano d’abbandono del carbone, Berlino rinnova la sua ambizione di Paese guida nel processo di riconversione sostenibile della produzione energetica. Un segnale importante che non potrà restare inascoltato in Paesi come l’Australia, che sotto il primo ministro liberal-conservatore Scott Morrison punta ancora al carbone come principale fonte energetica.
Le contraddizioni
Ma al di là di queste misure in tema di nucleare e carbone la Germania in altri campi non ha dimostrato la stessa determinazione. È stato in fondo proprio il governo di Angela Merkel a frenare per anni i piani della Commissione europea per una riduzione delle emissioni inquinanti delle autovetture a combustione per tutelare così gli interessi delle case tedesche Volkswagen, Daimler e Bmw. Costruttori specializzati soprattutto nel segmento premium delle auto e dei Suv di grande cilindrata e che hanno ignorato troppo a lungo il segmento emergente della trazione elettrica.