Il discorso alla nazione del presidente Biden dopo il ritiro dalla corsa alla Casa Bianca: «In questi mesi farò il massimo. La salute non c’entra: è il momento di voci più giovani e di passare il testimone». Oggi l’incontro con Netanyahu
«La difesa della democrazia è più importante di qualsiasi titolo. Io traggo forza e provo gioia nel lavorare per il popolo americano. Ma questo sacro compito di perfezionare la nostra Unione non riguarda me, riguarda voi. Le vostre famiglie. Il vostro futuro. Riguarda “Noi, il Popolo”», ha detto Joe Biden alle 8 di sera di Washington nel suo atteso discorso alla nazione.
«Ho deciso che il migliore modo per andare avanti è passare il testimone a una nuova generazione. È il modo migliore per unire la nostra nazione».
In chiusura, ha espresso gratitudine perché un «ragazzino balbuziente» di Scranton come lui è potuto diventare presidente. «È stato l’onore della mia vita».
Il discorso di Biden
La rigidità del suo corpo, la voce fioca e il modo in cui lo si sentiva deglutire mostravano che quel ragazzino balbuziente di Scranton è nell’inverno della sua carriera, ma l’accenno al fatto di aver creduto dimeritare un secondo mandato per via dei risultati ottenuti e di aver capito che doveva mettere da parte l’ambizione personale per «unire il partito» rivela quanto è stato difficile per lui fare un passo indietro.
Kamala Harris «ha esperienza: è tempo di voci più giovani»
Kamala Harris «ha esperienza, è forte, è capace» ha detto della sua vicepresidente. «C’è un tempo e un luogo per voci più giovani. Quel tempo e quel luogo è adesso».
Nello Studio Ovale, mentre il presidente parlava, c’erano sua moglie Jill, i figli Hunter e Ashley e alcuni nipoti, il consigliere Mike Donilon con cui ha scritto il discorso, che lo hanno applaudito quando la telecamera si è spenta.
Alla fine, Jill si è avvicinata al «Resolute Desk» e sui social ha diffuso pochi minuti dopo un nota, scritta di suo pugno: «Per coloro che non hanno mai vacillato, per coloro che hanno rifiutato di dubitare, per coloro che hanno sempre creduto, il mio cuore è colmo di gratitudine. Grazie per la fiducia che avete riposto in Jo. Ora è tempo di riporre quella fiducia in Kamala».
Il presidente aveva fatto gli ultimi ritocchi al discorso fino a poco prima delle 8. Aveva cominciato a lavorarci domenica con Donilon, dopo aver pubblicato sui social la lettera con cui ha annunciato il ritiro dalla corsa per la rielezione. Era la prima volta che gli americani lo vedevano dopo una settimana in isolamento per il Covid.
Un discorso destinato a entrare nella Storia
Il presidente era consapevole che si trattava di un discorso destinato a entrare nella Storia.
«La cosa grandiosa dell’America è che qui non sono i re e i dittatori a regnare, sono le persone. La Storia è nelle vostre mani – ha detto -. Il potere è nelle vostre mani. L’idea di America è nelle vostre mani».
Biden voleva spiegare alla nazione le ragioni per cui ha deciso di fare un passo indietro come candidato, ma anche di «finire il lavoro» di questo mandato.
«Non si vede come un’anatra zoppa», aveva detto nel pomeriggio la sua portavoce Karine Jean-Pierre nel primo briefing con la stampa da giorni.
Oggi, alla Casa Bianca, Biden e Harris incontreranno il premier israeliano Benjamin Netanyahu: il presidente vuole spingere per chiudere gli ultimi «gap» che bloccano ancora l’accordo per il cessate il fuoco e il rilascio di ostaggi, che, secondo fonti dell’amministrazione, è «nella fase finale».
Le proteste del team di Trump: «Spot elettorale»
Nei prossimi sei mesi si dice che potrebbe anche ricorrere ad ordini esecutivi per portare avanti il suo programma di politica interna.
Ma da ultimo, molti credono che il modo in cui la Storia vedrà la sua presidenza dipenderà anche dalla vittoria o meno di Harris contro Trump.
Il team di Trump, che ieri teneva un comizio, ha protestato con le tv chiedendo pari spazio perché Biden avrebbe fatto «uno spot elettorale».
Biden e i dubbi sulla sua salute nei prossimi sei mesi
Biden sapeva di dover rispondere ai dubbi: nonostante i grandi elogi di tutto il suo partito — un misto di ammirazione e sollievo — deve convincere gli americani di essere in grado di governare per altri sei mesi. I repubblicani, a partire dallo Speaker della Camera Mike Johnson, invocano il 25° emendamento della Costituzione, che consentirebbe alla vicepresidente di assumere i poteri di un presidente non in grado di governare a causa del declino fisico e cognitivo.
«È ridicolo», ha detto la portavoce di Biden, affermando che il ritiro dalla corsa «non ha nulla a che fare con la sua salute».
Tuttavia un sondaggio della Cnn mostra che il 70% degli americani sono favorevoli alla sua decisione di farsi da parte come candidato ma anche a quella di restare presidente (semmai gli elettori democratici sono divisi sulla direzione che Harris dovrebbe seguire in futuro: il 53% vuole continuità con Biden, ma il 47% vuol cambiare, soprattutto tra i giovani e le minoranze).
I temi dell’«addio»
Già lunedì, con una telefonata allo staff della sua campagna elettorale, il presidente aveva anticipato i temi di cui avrebbe parlato: «Dobbiamo salvare la democrazia. Trump è un pericolo per la nazione. Mi rimangono sei mesi di presidenza e sono determinato a fare quanto più possibile in politica estera e interna: ridurre i costi per le famiglie, continuare a parlare delle armi, dell’assistenza all’infanzia e per gli anziani, dell’accesso ai medicinali. I cambiamenti climatici restano una minaccia esistenziale. Lavorerò con gli israeliani e i palestinesi per cercare di capire come porre fine alla guerra a Gaza, portare la pace in Medio Oriente e gli ostaggi a casa. Penso che siamo vicini a riuscirci. E dobbiamo tenere unite le nostre alleanze: è critico per la nostra sicurezza».
È stato il suo quarto discorso dallo Studio Ovale (dopo l’attentato alla vita di Trump, il massacro di Hamas in Israele e il quasi-default del debito), ma è molto diverso: è un addio anche se avrà occasione di pronunciarne altri in questi sei mesi.
Viene paragonato al discorso con cui Lyndon Johnson il 31 marzo 1968 annunciò in tv il passo indietro dalla corsa per la nomination. Johnson però lo rivelò a sorpresa dopo aver parlato per 40 minuti del Vietnam: «Con i figli dell’America in campi lontani, con le nostre speranze e le speranze del mondo per la pace in gioco, non credo che dovrei dedicare un’ora né un giorno del mio tempo a questioni di parte o ad altri doveri che non siano gli eccezionali doveri di presidente di questo Paese».