Fonte: Huffington Post
di G. Onofrio
È in atto una campagna che vede esponenti dell’industria fossile accanto a sedicenti ambientalisti (questi sì radical chic!)
Lo scorso giugno è stato il decennale del secondo referendum che ha chiuso il dibattito sul nucleare aperto dalla decisione del governo Berlusconi di siglare un memorandum con Sarkozy per costruire 4 reattori Epr in Italia. Dieci anni fa erano in costruzione due di questi reattori, uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville. Oggi sono ancora in costruzione a costi quadruplicati rispetto al budget. L’azienda proprietaria della tecnologia, la francese Areva, impegnata nel cantiere finlandese, è fallita. Negli Usa il “rinascimento nucleare”, lanciato nel 2001 da George W. Bush, non ha avuto migliore fortuna. Dei quattro reattori AP1000 due sono stati cancellati e altri due sono in costruzione a costi esorbitanti, mentre l’azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghause, è fallita nel 2017.
Dunque, se avesse vinto la linea del governo Berlusconi avremmo avuto quattro “buchi neri finanziari”, il probabile fallimento di qualche grande impresa e zero elettricità prodotta.
Quest’impasse del nucleare nei due principali Paesi occidentali è avvenuta senza che ci siano state significative interferenze da parte del movimento antinucleare (e nessun referendum): è il segno di una crisi profonda del settore. Solo dopo Fukushima ad esempio si è scoperto che l’Epr in costruzione a Flamanville presentava la stessa vulnerabilità a un eventuale tsunami o allagamento dell’impianto – e dunque il progetto è stato modificato – e che in un’isola nucleare con sei reattori a Cattenom c’era un solo generatore d’emergenza.
In quest’impasse – esiziale per Paesi che sono anche potenze atomiche – riemerge di nuovo la prospettiva dei mini-reattori modulari. L’Università del Sussex qualche anno fa, per spiegare l’ossessione nucleare inglese a fronte di un vasto potenziale eolico a terra e soprattutto a mare, ha scoperto che all’interno del “deep state” la spinta a perseguire il rilancio nucleare era da parte militare. E che il vero obiettivo è l’ammodernamento delle flotte di sommergibili (e portaerei) a propulsione nucleare.
Anche per questa ragione, la mossa della francese Edf, proprietaria degli impianti nucleari in Uk, di coinvolgere al 33% la cinese Cng (per distribuire i rischi finanziari e abbattere i costi) aveva sollevato perplessità. Che si sono sciolte nel nuovo contesto geopolitico di conflitto con la Cina: la richiesta del governo britannico di andare avanti senza i cinesi è sul tavolo (vedremo se è reale o fa parte di un negoziato politico sotterraneo nel riassetto delle relazioni col colosso asiatico).
Dunque i mini-reattori (niente di nuovo sul piano tecnologico, del resto i reattori nucleari sono l’evoluzione di quelli usati dalla marina militare americana) su cui punta anche la Rolls Royce hanno un obiettivo essenzialmente militare e presumibilmente se ne faranno, cercando di non dipendere in questo da un Paese potenzialmente ostile. Ma che questi possano avere una ricaduta civile è tutto da vedere: per decenni si è cercato di tagliare i costi del nucleare alzando la taglia dei reattori, che lo si possa fare miniaturizzandoli è controintuitivo.
Andiamo ai costi. Nel 2012 il governo UK per convincere i francesi di Edf a costruire due reattori a Hinkley point stabiliva un prezzo garantito all’energia elettrica prodotta, agganciato all’inflazione, che ai valori attuali è di circa 123 euro al megawattora: cioè ha una valutazione che va dal doppio al triplo del prezzo di mercato all’ingrosso di questi anni in Uk. Per fare un confronto, lo scorso dicembre le aste spagnole sul solare hanno chiuso a meno di 25 euro al megawattora. E i contratti di acquisto a lungo termine negli USA di megaimpianti solari associati a batterie industriali a circa 40 dollari al megawattora.
Dunque le analisi degli ecologisti, che vedevano possibile rendere competitive le fonti rinnovabili, si sono rivelate giuste – e in alcuni casi meno ottimiste della realtà come si vede confrontando i rapporti di Greenpeace con l’evoluzione effettiva del mercato – e questo è stato riconosciuto persino dall’Agenzia internazionale dell’energia di Parigi, che per vent’anni ha sistematicamente sottovalutato le rinnovabili: l’energia solare è la fonte più economica di energia mai prodotta, ha sentenziato poche settimane fa.
Perché allora un ministro-tecnologo che tutte queste cose dovrebbe saperle (e in parte gliele abbiamo spiegato a voce) continua a fare boutade nucleari in un contesto in cui attacca in modo sguaiato gli ambientalisti? Non sappiamo se è imperizia comunicativa o se c’è un disegno, ma propendiamo per la seconda ipotesi viste le uscite coordinate a sostegno del ministro. Non sappiano se, nel corso dello scontro sulla tassonomia europea nel quale i francesi vogliono definire verde il nucleare, ci sia qualche scambio in corso per ottenere qualcosa, come l’esenzione per le auto italiane di alta gamma dall’obbligo di passare all’elettrico. Di certo la partita della transizione ecologica e la sfida climatica sono un redde rationem per quei settori che non hanno fatto sostanzialmente nulla per innovare e cambiare strategie industriali.
E’ il caso del settore del gas e del petrolio che punta su tecnologie rischiose che da vent’anni hanno prodotto poco o nulla come il Carbon Capture and Storage o hanno cercato di vendere i prodotti petroliferi come “carbon neutral” acquistando crediti forestali come fa Eni in Zambia. Col rischio che, con le stagioni degli incendi che si allungano e si espandono a causa del riscaldamento globale, questi crediti vadano in fumo come è successo poche settimane fa ai crediti acquistati da altre multinazionali.
E, invece, ci sarebbe molto da fare di concreto per combattere la crisi climatica. Una tecnologia che promette molto è l’eolico galleggiante che, superando i limiti della profondità dei fondali, può essere una formidabile fonte di energia in alcune aree del mondo e, se ben progettato, di fatto diventare un presidio a tutela della biodiversità marina escludendo zone di mare ad attività distruttive come la pesca a strascico. Al momento in Italia ci sono domande di connessione alla rete di progetti eolici offshore (galleggianti e non) per 13 GW (su 125 GW di richieste totali di connessione delle rinnovabili), ma si aspettano le politiche del governo come le semplificazioni amministrative – promesse e dichiarate anche nel Pnrr – per cominciare a sbloccare il settore.
Questo sviluppo però è osteggiato proprio dal settore fossile dominante – che è riuscito a bloccarlo per 10 anni con polemiche furiose – ed è chiaro il perché: gli obiettivi rinnovabili nei piani di aziende come Eni sono marginali rispetto al ruolo che ha il colosso energetico. Il quale potrebbe diventare leader del solare termodinamico essendo ampiamente presente in aree del mondo in cui questa tecnologia può funzionare efficientemente (e il cui sviluppo in Italia è fallito miseramente, ostacolato in tutti i modi).
E’ in atto (non da ora) una campagna anti-rinnovabili che vede impegnati anche esponenti dell’industria fossile accanto a sedicenti ambientalisti (questi sì radical chic!). L’effetto combinato di questa campagna assieme alle boutade nucleari si traduce in quello che è stato definito il nuovo negazionismo climatico: l’inazione a vantaggio delle fossili. Così il ministro della “Finzione Ecologica” – che aveva promesso lo sblocco delle rinnovabili e un obiettivo del 72% di elettricità verde al 2030, obiettivo su cui da Greenpeace all’associazione industriale Elettricità Futura ha pieno consenso – ha forse buttato la palla in calcio d’angolo per coprire l’immobilismo del governo. I 125 GW di richieste di connessione di rinnovabili alla rete dimostrano che un importante potenziale di investimento e di impresa verde esiste anche in Italia ma è bloccato da lobby, burocrazia e opposizioni basate per lo più su argomenti capziosi.
Bloccare le rinnovabili per difendere il gas fossile, questa è certo una motivazione che valeva ieri e vale ancora oggi. Come il progetto di fare idrogeno blu col metano e il CCS, che secondo le analisi più recenti sarebbe inquinante come il carbone: le perdite di metano (potente gas a effetto serra) sono infatti state finora grandemente sottostimate.
Le fonti rinnovabili, essendo a maggiore intensità di lavoro, consentirebbero di creare occupazione e il paradosso in cui siamo invischiati è esemplificato da quello che avviene in California, ma anche in Stati “trumpiani” come la Florida o il Texas e altri Stati americani. Imprese private (tra cui un’importante azienda italiana) creano grandi impianti rinnovabili associati a megabatterie che accumulano la sovrapproduzione solare o eolica e la rilasciano nelle ore serali. Tutto ciò in un contesto di mercato molto competitivo: con lo shale gas che ha un prezzo industriale pari a circa un terzo di quello del gas in Italia.
Ecco: questo esempio da solo dimostra come gli interessi del gas fossile blocchino il possibile sviluppo verde dell’Italia che sarà possibile solo mettendo al centro il settore delle rinnovabili e sterilizzando la potente lobby fossile che, da sempre, domina il settore energetico. Siamo a un cambio d’epoca: Mario Draghi e l’élite italiana vogliono guidarlo o, come sembra, impedirlo?