Fonte: Corriere della Sera
di Marco Galluzzo
Task force di 20 agenzie. Dal rischio pollo clorinato alle banche, cosa può succedere
Una task force di più di 20 attori istituzionali italiani, coordinata da Palazzo Chigi e che spazia dagli uffici di Bankitalia al ministero della Salute, dalla Consob al ministero dei Trasporti, dalle Dogane all’Ivass, dalla Covip alla Farnesina. In caso di uscita dura della Gran Bretagna dalla Ue, dunque in caso di «no deal», si dovranno occupare di un’infinità di materie, che spaziano dalle persone ai servizi, dal rischio che il pollo clorinato degli Stati Uniti entri in Europa di soppiatto via Londra, alle carte di identità cartacee che la Gran Bretagna è pronta a disconoscere, dal 20% di controlli doganali in più rispetto agli attuali, alla continuità dei mercati finanziari e di derivati, per i quali è pronto un decreto del Mef.
Lo scenario del no deal è quello che manda in frantumi tutte le negoziazioni fatte finora fra Bruxelles e Londra, e rimanda ad accordi bilaterali per tutte le relazioni commerciali, finanziarie, sanitarie, dei trasporti fra Roma e Londra. Anche il ministero dell’Interno ha pronto un decreto che dovrebbe proteggere i circa 600 mila cittadini italiani residenti in Gran Bretagna (solo 350 mila sono registrati presso i nostri consolati), dotandoli in gran fretta di carta di identità elettronica, l’unica che verrebbe riconosciuta, mentre sono 60 mila i britannici che vivono in Italia.
L’insieme delle misure, normative e regolatorie, che l’Italia si appresta ad adottare, in caso di no deal, è quasi sterminata. In ballo ci sono i diritti sociali, sanitari, economici, dei cittadini dei due Paesi, ma anche la continuità delle operazioni finanziarie gestite da operatori britannici nel nostro Paese: basti pensare che ammontano a circa 10 miliardi di euro i fondi di gestione britannica venduti in Italia, e che sono circa 70 le banche di Londra che operano nel nostro Paese. Ma anche nel settore della giustizia ci sarebbero problemi di non poco spessore. A cominciare dal mandato di arresto europeo, che decadrebbe come istituto, insieme alla partecipazione di Londra a Europol, così come l’accesso a tutte le nostre banche dati giudiziarie, che oggi hanno una matrice europea, ma che nessuno potrà mettere a disposizione di Londra senza un accordo specifico e condiviso da tutti e 27 i Paesi della Ue.
In caso di no deal Roma dovrà far propria la negoziazione europea sugli operatori finanziari italiani e britannici, intesa che prevede che il passaporto europeo (la licenza ad operare entro la Ue) resti valido anche dopo la Brexit, e sino al 31 dicembre del 2020. Ma anche il trasporto aereo avrebbe i suoi grattacapi: oggi Londra usufruisce degli accordi che vanno sotto il nome di Open Sky, con un no deal diritti di sorvolo del nostro territorio e autorizzazione ad atterrare andrebbero rivisti per tutti. Oggi la Commissione ha adottato una proroga dello status quo di 12 mesi, ma ci si prepara a uno scenario di rottura. Stesso discorso per la certificazione della sicurezza aerea che oggi viene fatta in molti stabilimenti inglesi. Tutto per aria.
Per non parlare del cosiddetto pollo clorinato made in Usa: le ragioni dei brexiteers dicono che la politica agroalimentare europea, da cui Londra dipende, costa troppo, ha standard di qualità troppo elevati. Comprare il pollo americano disinfettato a cloro metterebbe a rischio ulteriore le relazioni commerciali fra Londra e il resto della Ue, ma lo stesso discorso varrebbe per altri cibi, come per le auto e per le loro emissioni, essendo le regole europee molto più stringenti di quelle di altri mercati. Insomma la Manica si allargherebbe a dismisura e la Ue, come i singoli Paesi della stessa, potrebbe aver bisogno di mettere dei dazi a protezione dei propri mercati.
Fra Mise, Mit e ministero dell’Interno è stato stimato il ripristino dei controlli con Londra comporterebbe per i nostri doganieri il 20% in più dei servizi odierni: costi, misure, adeguamento di personale andrebbero approvati in tutta fretta. Oggi ci sono 1,5 miliardi euro di transazioni in entrata dalla Gran Bretagna, di colpo diventerebbero materie di controlli doganali applicati a prodotti extra-Ue.