Fonte: Sole 24 Ore
di Enrico Marra
Brexit non minaccia solo le banche d’investimento d’oltremanica. Theresa May e il suo staff si stanno accorgendo solo ora degli enormi rischi che sta correndo l’industria britannica del risparmio gestito, con i suoi ottomila miliardi di sterline di asset (quasi quattro volte il debito pubblico italiano). Su questa catena montuosa di denaro si stanno da tempi allungando le brame di Parigi, Dublino, Francoforte e del Lussemburgo.
In particolare i timori si concentrano sui 900 miliardi di sterline (oltre un trilione di euro) che la Uk’s Investment Association stima siano gestiti dal Regno Unito per conto di fondi domiciliati in Paesi terzi, in Irlanda o Lussemburgo. Si tratta del meccanismo della “delegation”, grazie al quale un gestore domicilia (per ragioni fiscali) il tal fondo in un certo Paese ma poi lo fa seguire dal management di un’altro Paese. Spesso la Gran Bretagna, appunto, ma anche Francia o Germania. «Salvaguardare queste deleghe di gestione durante le trattative su Brexit è la priorità numero uno del nostro Governo per la tutela dell’industria dell’asset management», hanno chiarito fonti dell’Investment Association d’oltremanica.
Il Governo May, risucchiato da mille priorità, dai conflitti interni e dai tatticismi con Bruxelles, sembra rendersene conto solo ora, ammettendo candidamente che «ci siamo concentrati troppo sulle banche d’investimento, ma quello del risparmio gestito ora sta diventando il vero problema». E dire che di campanelli d’allarme ne erano suonati. Da tempi non sospetti per esempio Keith Skeoch, co-chief executive di un colosso dell’asset management del calibro di Standard Life Aberdeen, ripete che «ogni modifica degli attuali accordi sulla “delegation”, piccola o grande, avrà ricadute mondiali».
In questa fase a fare paura agli inglesi è soprattutto Parigi, dove pare che Emmanuel Macron in persona stia cercando di mettere paletti al meccanismo della “delegation” per portare acqua al mulino francese (o franco-tedesco a geometria variabile). Già in luglio l’Esma, l’organo di controllo paneuropeo sui mercati finanziari con sede a Parigi, ha sferrato un attacco contro i gestori che piazzano la sede legale dei fondi nell’Unione per poi farli seguire da staff di Paesi extra-Ue. «Una parte significativa dello staff, in particolare chi ha gli incarichi più importanti, deve restare nei Paesi Ue-27 – ha spiegato a chiare lettere l’Esma – onde assicurare la giusta competenza e familiarità con la regolamentazione europea». Il riferimento ai Paesi extracomunitari era agli Stati Uniti, secondo alcuni anche alla Svizzera, ma come non intravedere in filigrana un avvertimento ai gestori inglesi “brexiters”?
Ovviamente Londra ha risposto a tono: «La Gran Bretagna è un centro di importanza globale per i servizi finanziari, settore nel quale il risparmio gestito è di cruciale importanza – ha dichiarato il ministero del Tesoro – siamo determinati a far rimanere il Regno un hub mondiale per quest’importante industria». Ma la pacchia è davvero finita per le “delegation” degli asset manager della City? La battaglia franco-britannica sull’industria del risparmio gestito è appena iniziata, e nei prossimi mesi ne vedremo delle belle.