20 Settembre 2024

Fonte: La Repubblica

Brexit bandiere
di Enrico Franceschini

Il declino della sterlina (-17% da gennaio a ottobre) pesa sull’andamento dell’inflazione: il think tank National Institute of Economic and Social Research crede sia questo l’aspetto più rilevante nel Regno Unito post-referendum. S&P: “Il pound resterà basso a lungo”

L’effetto Brexit continua a influenzare l’economia britannica. Una nuova stima prevede che l’inflazione passerà dallo 0,7 per cento odierno al 4 per cento nel 2017, come conseguenza del declino della sterlina, che ha perso il 17 per cento del suo valore da gennaio a ottobre del 2016, in particolare dopo il referendum di giugno con cui la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Unione Europea. La previsione è del think tank National Institute of Economic and Social Research, che definisce la svalutazione del pound come “l’aspetto più rilevante del panorama economico post-referendum”. Un aspetto che si farà sentire sempre di più “nelle tasche dei consumatori” con il passare dei mesi e che si protrarrà per almeno i prossimi due anni, afferma il rapporto.
I fautori di Brexit sostengono che il calo della sterlina ha tuttavia favorito l’aumento delle esportazioni e fa così da traino a un Pil che continua a essere in crescita, al ritmo più solido di tutta Europa. Ma dati dal settore manifatturiero, riportati stamane dal Financial Times, segnalano che la caduta della moneta nazionale ha avuto un esito contraddittorio sulle imprese: se da un lato infatti ha favorito la crescita delle esportazioni, dall’altro ha fatto salire anche i costi per l’acquisto di materie prime. E l’indice di questi ultimi è infatti cominciato a scendere.
La domanda che molti operatori si fanno è se la sterlina resterà a lungo ai livelli attuali, se riconquisterà almeno in parte il terreno perduto e che tipo di azione sarà intrapresa dalla Banca d’Inghilterra al riguardo. In materia arriva un’altra analisi, dagli economisti del S&P Global Ratings, secondo i quali è verosimile che il pound rimarrà a bassa quota per un certo tempo. La banca centrale inglese è di fronte a un classico dilemma, osserva il documento in questione: dovrà scegliere tra una politica monetaria restrittiva se vuole risollevare la sterlina e combattere l’inflazione, oppure una politica espansiva se vuole privilegiare la crescita economica. “Sulla base delle esperienze del passato”, è il parere di S&P Global Ratings, “in particolare nel periodo 2007-2009, ci aspettiamo che nel medio termine la banca accetti di affrontare un’inflazione in ascesa e si concentri sulle prospettive di una prolungata espansione economica”. In sostanza, nel prossimo paio d’anni i consumatori pagheranno il prezzo di Brexit, in termini di inflazione e ridotto potere d’acquisto, purché il pil rimanga in attivo. Dopodiché i negoziati sull’uscita della Gran Bretagna dalla Ue dovrebbero concludersi, la Banca d’Inghilterra avrà probabilmente un nuovo governatore al posto di Mark Carney (che ha promesso di restare al suo posto sino a fine 2019) e si capirà gradualmente se il futuro a lungo termine post-Brexit degli inglesi è roseo o cupo.

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